Maggioritario, ma non troppo: sulla riforma elettorale nel Pd sono tutti d’accordo con Renzi? Da una Leopolda che, stando agli osservatori più avveduti, non pare abbia prodotto grandi novità, esce a chiare lettere la proposta di una riforma elettorale di stampo maggioritario, che ha lo scopo di mantenere il nostro paese agganciato al bipolarismo, oltre che di contrastare il ritorno di fiamma del proporzionalismo al quale abbiamo recentemente assistito.

Sulla riforma elettorale Renzi è sembrato determinato, proponendo che il premier venga eletto con un modello che si ispiri a quello adottato per l’elezione diretta dei Sindaci. Un sistema pressoché impossibile da realizzare, poiché richiederebbe una complicata riforma costituzionale a favore dell’elezione diretta del premier. E che non sarebbe comunque risolutivo, dato che non è in grado di escludere la formazione di maggioranze risicate o addirittura Sindaci ostaggi di consigli di indirizzo diverso (cosa che il Sindaco di Firenze dovrebbe sapere).

Un rapido sguardo ai programmi dei candidati alla segreteria del Pd consente di vedere come tutti siano favorevoli al superamento del Porcellum. A parte questo, però, solo Civati, con il ritorno al Mattarellum, e Cuperlo, per un maggioritario a doppio turno di collegio (e in subordine di coalizione), si spendono con parole chiare sul sistema elettorale di loro gradimento. Pittella si accontenta, invece, di una riforma elettorale che restituisca la parola ai cittadini nella scelta dei loro rappresentanti. E Renzi sostiene che ci vuole una legge elettorale in grado di assicurare bipolarismo e alternanza, diritto di scelta dei cittadini e responsabilità di chi governa. Anche se, curiosamente, nel suo programma non si spende a favore dell’idea di “Sindaco d’Italia” che aveva perorato lo scorso anno, in occasione delle primarie contro Bersani, e che ha tirato nuovamente fuori dal cassetto alla Leopolda 2013.

Interessanti indicazioni si possono trarre anche esaminando gli orientamenti presenti nel gruppo dirigente del Pd. Dalle indagini demoscopiche che C&LS ha condotto nella platea dei delegati dell’Assemblea nazionale, nel 2007 e nel 2009, emergono alcuni elementi interessanti. Anzitutto, il sistema tedesco e quello francese sono sempre stati quelli che l’hanno fatta da padrone, sia fra i delegati del partito di Veltroni, sia fra quelli del partito di Bersani. Tuttavia mentre nell’Assemblea costituente il peso dei supporter dei modelli tedesco e francese assommava complessivamente all’80 per cento dei delegati, nell’Assemblea nazionale eletta nel 2009 tale percentuale scende al di sotto del settanta per cento. La preferenza per l’uno o l’altro sistema, nel 2007 come nel 2009, è in larga prevalenza riconducibile alla tradizione politica di provenienza, con gli ex Dl più favorevoli al modello tedesco e gli ex Ds più inclini a privilegiare il modello francese. Anche se nel passaggio dal partito di Veltroni al partito di Bersani si assiste a una significativa diminuzione della percentuale di coloro che, pur riconoscendosi in una certa tradizione politica e quindi privilegiando un dato sistema elettorale, considerano il modello preferito dall’altra tradizione politica la propria second best solution. E ciò va a svantaggio soprattutto del modello francese, il cui consenso fra coloro che provengono dalla Margherita fra il 2007 e il 2009 si dimezza, passando dal 31,5 al 12,7 per cento. Meno vistoso è invece il calo dei supporter del sistema tedesco fra gli ex Ds, che passa dal 32,7 al 27,8 per cento. Del resto, nel Pd del 2007 si guardava a una riforma in grado di ancorare la democrazia italiana a bipolarismo e alternanza, coerentemente con la logica della vocazione maggioritaria introdotta da Veltroni. Nel Pd del 2009 si privilegiava un’idea di riforma in grado di favorire la costruzione di alleanze, coerentemente con la logica coalizionale sostenuta da Bersani. Due logiche sostanzialmente agli antipodi, che hanno fin qui impedito di definire in maniera chiara una linea univoca.

In attesa della sentenza della Corte costituzionale sul Porcellum, e con il rischio di elezioni anticipate mai del tutto fugato, le dichiarazioni di Renzi alla Leopolda riaprono i giochi. Ma non può certo darsi per scontato che le posizioni del Sindaco di Firenze trovino pieno consenso all’interno del suo partito. Il capogruppo al Senato Zanda ha annunciato in questi giorni che il Pd è per il doppio turno. Anche se un anno fa, con il governo Monti in carica, una parte consistente del partito si oppose ad una riforma elettorale che andasse in quella direzione. E ancora oggi, sempre al Senato, il “pillolario” prodotto dalla Commissione Affari costituzionali in accordo con il Pdl e sotto la regia di Anna Finocchiaro, va in tutt’altra direzione. Nel Pd, a quanto pare, le idee sulla riforma elettorale restano molte e confuse.

 

"Questioni Primarie" è un progetto di Candidate & Leader Selection e dell'Osservatorio sulla Comunicazione Politica dell'Università di Torino, realizzato in collaborazione con rivistailmulino.it. In vista delle primarie del Pd, ogni settimana, sino all'8 dicembre, verranno ripresi contributi pubblicati nell'ambito dell'iniziativa tutti disponibili anche in pdf sul sito di Candidate & Leader Selection. Questa settimana contributi di Stefano Rombi, Antonella Seddone, Paolo Natale, Fulvio Venturino, Marino De Luca, Luciano Fasano.