La nuova rotta di Abe. Da quando il governo nipponico, nel settembre scorso, ha nazionalizzato le isole Senkaku contese con la Cina, Pechino ha inviato spesso navi nelle acque territoriali nipponiche e aerei non militari, che sono stati intercettati dalle Forze di autodifesa. Le sommosse antinipponiche in varie parti della Cina dopo la nazionalizzazione hanno avuto quantomeno un tacito sostegno dallo Stato. Il boicottaggio dei beni giapponesi ha causato una caduta dell’8,6% delle importazioni dal Giappone e un calo del 3,9% del commercio con la Cina nel 2012: il Giappone è passato da quarto a quinto suo partner commerciale. Hillary Clinton, quand’era segretario di Stato, aveva sollecitato i due Paesi a risolvere la loro disputa con calma e attraverso il dialogo, ribadendo la posizione statunitense: gli Usa non prendono posizione sulla sovranità delle isole, ma ricordano che esse sono coperte dal trattato di sicurezza Usa-Giappone. Dunque Washington difenderebbe il Giappone nel caso di un attacco armato opponendosi a ogni escalation di tensione tra i due Paesi.

Pechino sembra testare la pazienza del neoeletto primo ministro Abe, che ha messo da parte il suo atteggiamento aggressivo in politica estera per focalizzare l’attenzione sulle misure economiche, con un occhio alle elezioni di luglio per la Camera Alta, dove spera che il partito ristabilisca la maggioranza (il blocco, composto da Partito liberaldemocratico e Nuovo Kômeitô, dispone ora di 102 seggi su 242).

La schiacciante vittoria a dicembre ha riportato il Pld al potere dopo tre anni e tre mesi di dominio (e tre primi ministri) del Pd, e Abe ne sta ribaltando le politiche. Ignorando la richiesta della popolazione di abolire il nucleare (solo due reattori sono ora in funzione, ma il Pd ne prevedeva lo spegnimento entro il 2030), mira a rimettere in funzione tutti gli impianti in tre anni, dopo controlli di sicurezza su nuovi standard. Ha approvato un ingente piano d’emergenza di stimoli economici, comprendente massicci investimenti in lavori pubblici, per aiutare il Giappone ad uscire dalla deflazione cronica. Si stima che il piano possa attivare del 2% il Pil nell’anno fiscale 2013 e creare circa 600.000 nuovi posti di lavoro. Ma la valanga di manovre costerà al governo circa 10,3 trilioni di yen, oltre al varo di un budget supplementare di 13 trilioni di yen per il corrente anno. Tutto ciò avrà anche effetti collaterali, tra cui soprattutto l’elevazione del debito pubblico a livelli senza precedenti. Il ministro della Difesa ha annunciato un budget addizionale d’emergenza di 180,5 miliardi di yen per missili, aerei da caccia ed elicotteri, per far fronte alle preoccupazioni crescenti intorno all’espansione sempre più decisa delle attività marittime cinesi nel Mar della Cina orientale e meridionale e ai due test missilistici effettuali nel 2012 dalla Corea del Nord verso Okinawa. Entro l’estate saranno compilate le Nuove linee guida per il Piano di difesa nazionale, che sostituiranno quelle del gabinetto Kan del 2010, per rafforzare le capacità delle Forze di autodifesa.

Abe si è mosso anche diplomaticamente: farà il primo viaggio in Vietnam, Thailandia e Indonesia, “centri di crescita economica” della regione, ma soprattutto è interessato alla cooperazione con il Vietnam, che ha anch’esso un contenzioso con la Cina. Giappone e Filippine hanno stabilito di incrementare la loro partnership strategica, inclusa la cooperazione marittima di supporto alle loro dispute territoriali con la Cina.

In realtà, Abe avrebbe desiderato fare la prima visita a Washington per rafforzare l’alleanza militare tra le due nazioni e i legami logoratisi sotto la precedente amministrazione, ma la rigida tabella di marcia di Obama ha mandato all’aria il suo piano. Ora dovrà affrontare molte sfide: i negoziati operativi con gli Usa per la revisione delle linee guida della cooperazione militare; il controverso trasferimento, in stallo da anni, della base di Futenma in un’altra area dell’isola di Okinawa, sempre più intollerante verso la presenza militare statunitense e i suoi armamenti; infine, la partecipazione ai negoziati guidati dagli Usa sulla Trans-Pacific Partnership, iniziativa a cui si oppongono con forza molti sostenitori del Pld nel settore agricolo.