Difficile dimenticare il sorriso stupito del libraio a Freiburg quando, qualche estate fa, arrivata alla cassa con parecchi volumi della casa editrice Insel Bucherei, piccoli gioielli con riedizioni di classici illustrate da artisti importanti, ho chiesto in inglese se fosse possibile avere un piccolo sconto in quanto collega straniera. Mossa poco apprezzata: “In Germania non è previsto lo sconto sui libri”, mi ha detto seccamente. Ha inserito nel bel sacchetto di carta, assieme ai libri, vari ed eleganti cataloghi e mi sono sentita il suo sguardo addosso mentre mi avvicinavo alla porta. In Francia, due anni fa, in giro con la famiglia in Bretagna (paesaggi incantevoli, fra paesi minuscoli sempre dotati di moderna mediateca e di un paio di librerie), rientrando dalla festa delle librerie antiquarie a Becherel (forse mille abitanti, economia turistica tutta imperniata sulle mostre mercato dei libri), chiacchieravo con gli amici italo-francesi che ci ospitavano e non ho potuto evitare l’amarezza nel paragonare ciò che vedevo con la sfortunata situazione italiana.

Da lettrice trovo comico lo stupore periodicamente rinnovato di intellettuali e giornalisti davanti alla progressiva e sempre più rapida chiusura di librerie indipendenti in Italia. Dovrebbe essere sbalorditivo il contrario, ovvero che centinaia di realtà continuino a esistere seppure con difficoltà crescenti.

La legge Levi sul prezzo del libro, approvata solo nell’autunno 2011, non riesce a rimediare a un lungo vuoto legislativo e pone comunque lo sconto massimo al 15%, con varie deroghe che lo correggono al 25%. È evidente la differenza di base con le leggi degli altri Paesi: in Francia la legge Lang del 1981 prevede un tetto massimo di sconto del 5% e la tutela delle “librerie di vicinato”; in Germania, con la legge del 2002, lo sconto massimo è del 5%; in Svizzera la legge del 2011 prevede uno sconto massimo del 5% e in Spagna, infine, la legge del 2007, oltre a prevedere anch’essa uno sconto massimo del 5%, investe fortemente sulla promozione della lettura e delle biblioteche pubbliche.

Sono lettrice dal 1964 e libraia dal 1990. Ho lavorato presso librerie indipendenti e di catena e, dal 2005, in società cooperativa con due amiche ho aperto una libreria indipendente. Il settore commerciale delle librerie, che già mostrava segni di affanno, è mutato in modo velocissimo negli ultimi anni, per l’effetto di vari fattori: mancanza di un progetto culturale nazionale valido e sostenuto con fondi adeguati, crisi economica diffusa, aumento dei prezzi di copertina per ovviare alla libertà di sconto nella grande distribuzione e sui siti internet, e, non ultimo, il progressivo diffondersi del libro elettronico. Inoltre, per molte librerie, come è evidente dalla cronaca delle chiusure più recenti a Milano e Roma, l’affitto è un fattore di rischio spesso decisivo. Nel 2010 cinque laureande del Gioca (Gestione e innovazione delle organizzazioni culturali e artistiche) hanno raccolto in un libro interviste e testimonianze in merito a questo argomento, censendo 52 librerie solo a Bologna città (analoghi progetti esistono per Torino, Roma e Milano). Alcune sono già sparite, hanno cambiato indirizzo o struttura, ma resta un numero sorprendente.

Ha senso riaprire una riflessione? Come agire a livello di norme? Forse tutelando e vincolando i negozi storici finché esistono, applicando la modesta legge Levi senza concedere spazio a troppe deroghe (un effetto la legge lo ha comunque già avuto, facendo riabbassare in qualche misura i gonfiati prezzi di copertina soprattutto dei bestseller veri o annunciati), stimolando chi fa e promuove cultura a pensare alle librerie come a un presidio per la “bibliodiversità” (una possibile apertura a editori e titoli che vada oltre le benefiche “sfumature”, che, senza ipocrisie, hanno permesso a molti di noi di restare sul mercato per un altro anno) e a instaurare collaborazioni sempre più strette con le biblioteche pubbliche e universitarie, strutture spesso oppresse dai tagli verticali dovuti alla crisi.

Saranno forse il rapporto intricato e complesso con il lettore cliente, spesso amico, la professionalità che ci fa destreggiare fra circa 60mila nuovi titoli all’anno, l’essere un punto di aggregazione e l’apertura a collaborazioni con chiunque faccia cultura sul territorio a farci aprire la serranda tutte le mattine, contro ogni regola economica? Saranno forse l’aura romantica che rende il mestiere del libraio ancora amato anche da giovani e giovanissimi aspiranti tali e la passione per la lettura a nutrire la nostra ostinata resistenza? So solo che ogni giorno della settimana sono pronta ad aprire e chiudere scatoloni su scatoloni e ad avventurarmi a caccia di titoli, a organizzare presentazioni, letture, gruppi di scrittura e a godermi l’odore insostituibile della carta stampata.