Artur Mas e il dilemma della governabilità. Dopo le elezioni del 25 novembre, il messaggio che viene dall’elettorato catalano è quanto mai complesso, e la sua decodifica richiede un’analisi attenta dei risultati e delle possibili implicazioni per il futuro della Catalogna.

Artur Mas, presidente in carica della Generalitat e leader del partito nazionalista Convergencia i Unió (Ciu), non ha ottenuto il plebiscito a favore dell’indipendenza che auspicava. Il 25 settembre Mas aveva annunciato la convocazione di elezioni anticipate – le ultime si erano svolte nel 2010 – in risposta al fallimento negoziale sul "patto fiscale" proposto dal Parlament catalano al governo di Mariano Rajoy, seguendo l’onda di entusiasmo catalanista della grande partecipazione alle manifestazioni della Diada dell’11 settembre, la giornata nazionale della Catalogna, in occasione della quale il governo della Generalitat aveva coniato lo slogan "Catalunya, nou Estat d’Europa". Il programma elettorale di Ciu, Catalunya 2020, è centrato intorno alla proposta di creare uno stato catalano indipendente all’interno dell’Unione Europea, con la prospettiva dello sviluppo federale della stessa Ue. Negli ultimi mesi, Mas ha continuamente ribadito che per portare avanti il progetto indipendentista, in primis con l’indizione di un referendum sull’indipendenza, sarebbe stata imprescindibile una maggioranza assoluta che avesse assicurato al governo la legittimità necessaria.

Dalle elezioni, caratterizzate da una partecipazione record che sfiora il 70%, Ciu ottiene 50 seggi su un totale di 135, ben al di sotto della maggioranza assoluta e 12 seggi in meno rispetto al 2010; un risultato che impone l’apertura a un appoggio da altre forze o, eventualmente, a una coalizione di governo. Alla maggioranza assoluta si avvicina il dato aggregato dei partiti favorevoli all’indipendenza: sommando ai seggi di Ciu, i 21 di Esquerra Republicana de Catalunya (Erc), i 13 di Iniciativa-Esquerra Unida (Icv-Euia) e i 3 di Candidatura d’unitat popular (Cup), si ottiene una maggioranza virtuale di 87 seggi (il 64% del Parlament). I restanti sono ripartiti tra il Partido socialista de Cataluña (Psc, 20 seggi), il Partido popular (Pp, 19 seggi) e Ciutadans (C’s, 9 seggi): tutte forze che non accettano la soluzione indipendentista di Mas e propongono diverse visioni di autonomia.

La maggioranza indipendentista, tuttavia, è soltanto virtuale: in questo momento alla questione indipendentista (che in ogni caso non è declinata da tutti i partiti nei termini proposti da Ciu) si affianca quella della crisi, in una Comunità autonoma in cui il tasso di disoccupazione sfiora il 22% - solo leggermente migliore rispetto al dato spagnolo, vicino al 24% -, il livello degli investimenti è in picchiata e i casi di corruzione e malgoverno fomentano un discontento sociale sempre più acuto. Ciu ha risentito dell’effetto negativo sull’elettorato delle politiche di tagli alla spesa sociale che il governo della Generalitat è stato costretto ad adottare per lenire il debito pubblico di 44 miliardi di euro, ovvero il 22% del Pil catalano, con interessi che sono triplicati tra il 2010 e il 2012 e che attualmente superano abbondantemente i 2 miliardi di euro, secondo dati forniti dal portavoce del governo catalano Francisc Homs. Sulle politiche di austerità Ciu potrebbe convergere con il Pp, che però al momento non sembra un possibile alleato, data la sua indisponibilità a trattare sull’indipendenza. Mas sarebbe invece costretto a rinegoziare giornalmente le politiche di tagli se dovesse governare grazie al Psc – il cui leader Perez Navarro non vede le condizioni per giungere a un accordo – o alle altre forze della sinistra indipendentista. Tra queste, Erc, sotto la pragmatica direzione di Oriol Junqueras, potrebbe chiudere un occhio sulle politiche di rigore in nome della convocazione del referendum sull’indipendenza. Tuttavia, il progetto appare particolarmente rischioso, in un momento in cui non è affatto scontato che la secessione sia la priorità dei cittadini della Catalogna, e anche all’interno di Ciu il supporto per la svolta di Mas non è unanime, come dimostrano le perplessità espresse pubblicamente da Josep Antoni Duran i Lleida, esponente dell’area democristiana del Partito.

L’esempio del fallimento di un progetto indipendentista simile, adottato dal Partido nacionalista vasco (Pnv) negli anni scorsi sotto la guida di Juan José Ibarretxe, come nota il suo successore Iñigo Urkullu, dimostra che concentrarsi su come uscire dalla crisi è cruciale in questo momento.