Alla vigilia di una nuova riforma elettorale anche i politici con solida esperienza accademica sembra abbiano abbandonato il loro sapere per adattarlo alle opportunità politiche. È davvero un peccato, perché senza un intervento dettato dalla conoscenza dei sistemi elettorali e dei loro effetti sui sistemi partitici viene lasciata mano libera agli apprendisti stregoni. E infatti quello che sta per arrivare in Parlamento è un ennesimo mostriciattolo. I punti fermi su cui sarebbe stato – ed è – opportuno puntare i piedi e alzare la voce sono almeno tre.
Punto primo. Il premio di maggioranza. È una aberrazione che distorce ogni principio di rappresentatività. Per questa ragione ha una applicazione limitatissima: l’esempio più vicino, nel tempo e nello spazio, è quello greco (sic!). Ritornare su questa strada vuol dire insistere sull’errore di considerare i sistemi elettorali degli escomotage, degli artifizi, che impediscono ai cittadini di esprimere le loro volontà e che servono solo a confezionare maggioranze fittizie. Che poi si sfasciano perché manca il reale consenso popolare alla base.
Punto secondo. Le preferenze. Anche qui sembra che tutti abbiano mangiato quintali di fiori di loto. Si è azzerata la memoria del frazionismo interno, delle spese folli, della corruzione, delle “corse” individuali o di cordate dei candidati, delle pressioni dei gruppi organizzati o dei clan criminali. Per i curiosi e gli increduli si consiglia di leggere le conclusioni della Giunta per le elezioni della Camera nel 1987 per capire come funzionava il sistema delle preferenze nel collegio di Napoli-Caserta. Ridare la scelta di eleggere i propri parlamentari ai cittadini come sostengono i fautori del ritorno alle preferenze è uno slogan vuoto. Il vero problema è a monte: chi e come sceglie i candidati? Qual è lo spazio di intervento di cittadini/simpatizzanti/iscritti/militanti nella definizione delle candidature? Questo è il discrimine tra chi vuole una apertura dei partiti nei confronti della società civile o della base dei partiti e chi vuole continuare a stilare nelle smoking room la lista dei candidati, con i posti sicuri definiti in maniera opaca e da poche persone.
Punto terzo. I listini (cioè l’elenco di quei candidati che vengono eletti automaticamente, a prescindere da ogni votazione, al seguito del presidente di regione). Con questa invenzione abbiamo toccato il fondo. Solo la pigrizia istituzionale e le convenienze di tutti avevano lasciato immutato questo obbrobrio. Ora viene addirittura riproposto con la ridicola motivazione che così si salvaguardia la presenza in Parlamento di persone “competenti”, che altrimenti non avrebbero il consenso popolare. Una concezione della democrazia e della rappresentanza da rabbrividire. Ma allora torniamo agli ottimati!
Invece di introdurre sistemi semplici e chiari che consentano di rimettere in asse il rapporto cittadini-eletti, la classe politica si trastulla con queste armi di distruzione di massa della fiducia dell’elettorato. Auguriamoci che i politici politologi e costituzionalisti sappiano far valere la loro voce assennata per impedire un ulteriore peggioramento del già pessimo sistema elettorale.