Ehi, ragazzi, ma non staremo esagerando, con questa attenzione spasmodica dedicata al Presidente del Consiglio? Prendiamo “Repubblica” di mercoledì 2 settembre, il giorno prima delle dimissioni del direttore dell’Avvenire. Già il titolo di prima pagina, a cinque colonne (su sei), «Berlusconi sfida l’Europa» dava il tono: e giustamente, per carità, non capita tutti i giorni che, dopo essersi appena inimicato la Fiat, gli Stati Uniti e, almeno apparentemente, la Chiesa, a uno venga in mente di zittire pure l’Unione europea. Solo che nei giorni successivi ho atteso inutilmente titoli all’altezza di questo, come «Silvio contro Maciste» o «L’urlo di Berlusconi terrorizza anche l’Occidente»: ma forse è passato troppo poco tempo, basterà aspettare.

Anche le dichiarazioni del premier in trasferta, nelle pagine interne, erano ampiamente previste. Chiunque lo conosca un po’, quando ha saputo che andava a Danzica per il settantesimo anniversario dello scoppio della Seconda guerra mondiale, aveva subito temuto siparietti del genere: lui è fatto così, in Italia gli tocca fare lo statista, ma all’estero gli crollano i freni inibitori, e lo stesso succede ai giornalisti al seguito. Voglio dire: c’era proprio bisogno di avvicinarlo durante lo shopping, per sentirgli dire «non solo non sono malato, ma sono un superman»? Quando l’intervistato inclina al titanismo, non bisognerebbe starci un po’ attenti?
Tutto ciò, comunque, è perfettamente comprensibile, direi quasi inevitabile, in cronaca politica: non si può mica stare sempre a sottilizzare sull’economia, o sul fatto che mentre i governi di una volta promettevano di costruire scuole e ospedali, questo si vanta di chiuderli. Più imbarazzante – in un panorama dell’informazione già pesantemente berlusconizzato, e nel quale “Repubblica” dovrebbe rappresentare un’isola felice – è però andare nelle pagine degli spettacoli e ritrovarsi il premier anche lì. In arrivo al suo Hotel di Danzica, lui trova il tempo di lanciare uno spottone per l’ultimo film di Giuseppe Tornatore, nel quale ha investito una barca di soldi: «consiglio a tutti gli italiani di andarlo a vedere», rischiando di inimicarsi anche la critica cinematografica.
Che fare, a questo punto, se non fuggire dalla politica e dagli spettacoli, e rifugiarsi nello sport? Ebbene, come in un incubo, lo si ritrova pure lì. E non ditemi che solo pochi giorni prima il Milan, con Ronaldinho schierato nella posizione suggerita dal Presidente, che assisteva terreo dalla tribuna, era stato asfaltato nel derby dall’Inter. Ma, benedetti ragazzi, c’era bisogno di sfrucugliarlo pure su questo: per di più a Danzica, la città per la quale l’Occidente si è chiesto se valesse la pena morire? E poi stupitevi se lui risponde: «mi accusano di essere io quello che fa la formazione… Mi piacerebbe, ma dato che c’è la figura dell’allenatore è giusto che la formazione la decida lui».
Insomma, è ora di darsi una regolata. Visto che c’è la figura del presidente del Consiglio, come direbbe il Nostro, e che questa, bene o male, ci rappresenta all’estero, bisognerebbe smettere di porgergli un microfono ogni volta che passa i confini, mettendo a repentaglio ogni volta quel che resta dei nostri rapporti internazionali. Se posso permettermi, forse ci si potrebbe persino astenere dal registrare ogni mezza frase che gli sfugge anche in Italia, o almeno omettere di stare poi a discuterne per settimane. Tanto, chi doveva capire ormai ha capito: e prima o poi l’intendenza seguirà, come disse un suo lontano precursore.