Un mare di debito. Sin dal principio del crollo greco, i numeri parlavano con imbarazzante chiarezza: impennata costante della disoccupazione, oggi al 23% (tra i giovani di 30 anni è salita al 51%); conti sempre più in rosso e un debito pubblico che nel 2012 salirà al 170% del Pil, dopo che nel 2011 è stato al 160% e dodici mesi prima al 150%, con l’attuale ministro dell’Economia, Sturnaras, che, al pari del predecessore Rapanos (rimasto in carica per 48 ore), vanta l’appartenenza alla speciale commissione che curò l’ingresso della Grecia nell’euro. Volendo semplificare con una metafora, si può dire che la Grecia di oggi appare come una gigantesca damigiana che perde acqua in abbondanza per via di una falla, ma chi l'ha causata, anziché chiudere quel “fiume in piena”, versa nella damigiana altra acqua: che però irrimediabilmente uscirà da un buco che quotidianamente si allarga. Una criticità strutturale che, se non metabolizzata adeguatamente, non potrà essere risolta.

Il memorandum della troika si presta a una doppia valutazione nel merito. Da un lato si poggia su una sorta di macro spending review che taglia praticamente tutto: altri 150mila dipendenti pubblici già il prossimo settembre, 20% in meno per pensioni, salari e indennità; oltre all’introduzione di una serie di tasse come l’Imu sulle abitazioni (i karadzi). Misure necessarie per colmare il gap fiscale con il resto del continente, ma che pregiudicano il futuro, sia internamente come qualità della vita sia esternamente come spendibilità di titoli di Stato. Accanto a esse non un’azione di supporto che equipari il tenore dei sacrifici. Il riferimento è alle rendite di posizione dei cosiddetti Paperoni dell’Acropoli (si accenna a 30 miliardi di euro ellenici custoditi in Svizzera), rispetto ai quali l’esecutivo guidato dal conservatore Antonis Samaras sembra non voler procedere come fatto invece dalla cancelliera Merkel, che ha stabilito un’aliquota per i correntisti tedeschi fuggiti in Svizzera tra il 21 e il 41%. In Grecia la lotta all’evasione è oggi condotta con mezzi insufficienti, con risorse ridotte all’osso: una contingenza che di fatto rallenta l’azione dell’ufficio centrale delle imposte e della polizia tributaria. Altra criticità ateniese è una struttura burocratico-amministrativa già di per sé deficitaria nelle fondamenta, come i rapporti economici con il clero. I privilegi della Chiesa si traducono in esenzione totale di tasse sugli immobili e in stipendi dei sacerdoti a carico dello stato e non della curia. A corollario una giustizia lenta e farraginosa, che non si mostra efficace soprattutto per quanto concerne i reati contro la pubblica amministrazione.

Ragion per cui, accanto a misure di austerità imprescindibili, sull’onda del principio “governi e cittadini hanno vissuto non solo al di sopra delle proprie possibilità, ma soprattutto al di sopra delle proprie necessità”, sarebbe auspicabile che l’interventismo della troika prevedesse anche altre misure altrettanto necessarie, che impediscano la distruzione completa di un tessuto sociale già in avanzato stato comatoso. Il riferimento è a una tassazione non ideologica ma ragionevole delle rendite finanziarie, a un pubblico registro degli appalti pubblici, alla totale trasparenza bancaria, alla strutturazione di un settore industriale di prodotti greci per impedire la massiccia importazione che politiche industriali scellerate hanno avallato nel corso degli ultimi sei lustri.

Piccoli esempi di vita quotidiana possono dare la cifra di scelte amministrative deleterie. Nella regione della Fthiotida esiste una miniera di bauxite. Lo Stato, in virtù di un accordo con una società francese, ha concesso che l’estrazione del minerale fosse effettuata dalla multinazionale transalpina, che porta la bauxite in Francia e lì la trasforma in prodotto finito prima di venderla alla stessa Grecia. Un esempio che meglio di altri fotografa la miopia industriale del Paese, con una  tripla conseguenza negativa: non valorizza le risorse del proprio territorio, impedisce un circuito occupazionale che in loco si sarebbe potuto sviluppare e paga ciò che invece avrebbe potuto realizzare in prima persona. Altro esempio concreto riguarda le grandi opere pubbliche. In occasione delle Olimpiadi del 2004, per cui sono stati spesi tre volte i fondi preventivati, sono state anche realizzate due grandi infrastrutture: l’aeroporto internazionale di Atene “Elefteros Venizelos” e il ponte di Rio-Antirrio, che collega il Peloponneso al continente. Nel primo caso le aziende impegnate nella costruzione dell’imponente scalo sono state tedesche, con un accordo che prevedeva la costruzione a carico delle aziende teutoniche che per vent’anni hanno in “dotazione” l’aeroporto, incassando l’80% degli utili. Identico sistema per il ponte, dove i 4,5 km sono stati realizzati da ingegneri italiani e tedeschi e del pedaggio che ogni automobilista versa per attraversarlo (13 euro) l’80% va alle suddette aziende e solo il 20% al disastrato erario ellenico.