Nell’arco di un anno il monolite Pdl si è disgregato. La caduta del governo Berlusconi (oltre ad aver danneggiato terribilmente le imprese del Cavaliere, tanto per ricordare il rapporto tra la sua discesa in campo e i suoi interessi personali) e la sua sostituzione con un governo “moderato” (e per bene) ha trascinato il partito in uno stato di depressione profonda. All’interno del Pdl nessuno sa più bene che cosa fare. Le innumerevoli fondazioni e associazioni facenti capo ai vari leader  – ultima quella presentata dal presidente della regione Lazio, Renata Polverini – proliferano proprio per prepararsi a un “liberi tutti” generalizzato. Ma, come per la Grecia, bisognerà vedere se il default del Pdl sarà “gestito” – da Berlusconi inevitabilmente – oppure porterà all’implosione più incontrollabile. L’ultima mossa ufficiale  presentata e approvata nella prima direzione della storia del Pdl (e a fortiori di Forza Italia), in cui si è discusso e ci si è confrontati, punta all’organizzazione di primarie per la scelta del leader. Una rivoluzione copernicana per il partito più verticistico di tutti. Un segnale anche di grande difficoltà o, meglio, di confusione.

Laddove si predicava la virtù del capo e della leadership, si deve “ritornare al popolo”… Meglio tardi che mai. Il problema è che tutto questo nasce e si sviluppa mentre sono ancora in corso i congressi provinciali del Pdl in vista del fantomatico congresso nazionale. Vale a dire: nel momento in cui, finalmente, il partito selezionava la sua classe dirigente locale con modalità democratiche, bottom-up, e definiva i rapporti di forza interni tra le vari correnti – informali o esplicite che siano – arriva la proposta delle primarie che, inevitabilmente, devitalizza il processo di delega interno e marginalizza i quadri e i dirigenti locali. In altri termini, l’adozione di primarie rispecchia l’imprinting originale del partito che concentra sulla leadership tutta l’attenzione. D’altro lato va però detto che, in effetti, senza Berlusconi in campo le primarie sono aperte a ogni risultato e risultano destinate ad accendere la competizione interna.

In un partito politicamente e culturalmente allo sbando questo elettroshock interno può essere salutare perché ridefinisce e chiarisce le proposte e le prospettive; ma può essere distruttivo perché il tasso di litigiosità, tenuto sotto controllo fin qui da Berlusconi, può esplodere. Vedremo se l’introduzione di maggiore apertura, scavalcando una nascente classe dirigente intermedia, provocherà esiti virtuosi o distruttivi.