Obama ha detto «sì»! La notizia delle nozze di Christine Quinn, presidente del Consiglio municipale di New York e favorita per la corsa alla carica di sindaco della città, con la sua compagna giunge quasi a suggellare le recenti dichiarazioni del presidente Obama a favore del matrimonio gay. Ad Abc News Obama ha dichiarato, infatti, che le coppie omosessuali dovrebbero avere il diritto di sposarsi: una dichiarazione definita “storica” da molti commentatori. Andrew Sullivan, dalle pagine di "Newsweek", ha scritto che «in quattro anni Obama, sui diritti civili, è passato dall’essere JFK a LBJ : dal fare discorsi edificanti all’agire in modo che quelle parole stimolanti si traformino in realtà». L’entusiasmo di Sullivan, così come quello di numerosi attivisti e sostenitori di pari diritti per la comunità Lgbt, va però commisurato al tenore delle parole pronunciate dal presidente. Egli ha parlato di “posizione personale” e ha ribatito che devono essere i singoli Stati a decidere sulla questione. A oggi, infatti, sono solo sei gli Stati che riconoscono il matrimonio gay (Connecticut, Massachusetts, New York, Vermont, New Hampshire e Iowa), oltre al distretto di Columbia. Al contempo, la dichiarazione di Obama sembra essere l’atto finale di una serie di aperture. A precederla, vi erano state dichiarazioni del suo vice, Joe Biden, che, qualche giorno prima, si era mostrato favorevole alle nozze gay, ponendosi sulla stessa linea d’onda del segretario all’Educazione, Arne Duncan, e del segretario alle Politiche abitative e Sviluppo urbano, Shaun Donovan, che già lo scorso novembre aveva dato semaforo verde ai matrimoni gay.

È certo, però, che le dichiarazioni di Obama hanno posto fine alla sua posizione altalenante sulla questione. Un’incoerenza che rischiava di mettere a repentaglio le donazioni per la campagna elettorale da parte dell’associazionismo Lgbt, nonostante i passi avanti finora compiuti. L’abolizione della politica del Don’t ask, don’t tell tra le fila dell’esercito statunitense, l’accordo con il dipartimento di Giustizia per non difendere il Defence of Marriage Act (le legge federale che proibisce il riconoscimento dei matrimoni gay) e il supporto, invece, al Respect of Marriage Act hanno dimostrato una forte sensibilità dell’amministrazione sul tema. Ciò nonostante, dietro una dichiarazione di tale portata, esistono altre considerazioni, tutte interne alla campagna per la rielezione: su tutte, la necessità di mobilitare la base democratica e, in particolar modo, i giovani. I più recenti sondaggi hanno mostrato, infatti, che il supporto alla parità matrimoniale è una questione prettamente generazionale. La maggior parte dei sostenitori ha meno di trent’anni, proprio quel segmento della società statunitense che nel 2008 aveva giocato un ruolo centrale per l’elezione di Obama (il 66% degli under 30 aveva votato per il candidato democratico) e che oggi appare piuttosto “addormentata”.

La presa di posizione di Obama, comunque, potrebbe avere risvolti inattesi in tempo di campagna elettorale. La prima incognita riguarda i cosiddetti swing States e, uno su tutti, la North Carolina, dove solo il giorno prima dell’intervista è stato approvato un emendamento statale che proibisce l’equiparazione del matrimonio eterosessuale a quello omosessuale. Il gap regionale è ancora molto forte negli Stati Uniti: solo un cittadino su tre nel Sud appoggia la parità matrimoniale e nel Midwest circa il 60% della popolazione è contraria. In secondo luogo restano le incognite delle comunità tradizionalmente contrarie, come i cristiano-evangelici e gli afroamericani, anche se per quel che riguarda questi ultimi il board della National Association for the Edvancement of Colored People (Naacp) ha votato per appoggiare i matrimoni gay.

A oggi è difficile valutare l’effettivo peso elettorale delle dichiarazioni di Obama e, soprattutto, quanto esse possano avantaggiare l’avversario repubblicano, Mitt Romney, che ha prontamente ribadito la propria contrarietà sia alle unioni civili sia ai matrimoni omosessuali. Resta ancora da valutare, inoltre, quanto queste parole possano essere foriere di azioni pragmatiche a livello federale, unica modalità con la quale si potranno riconoscere pari dignità e pari diritti a tutti i matrimoni. Un segnale in questa direzione, senza dubbio, potrebbe arrivare dall’inclusione della parità matrimoniale nella piattaforma elettorale della convention democratica prevista per settembre 2012. Ma non sempre un segnale costituisce una prova.