Il boia non va in vacanza. Il vento delle Primavere arabe non è riuscito a placare i «Paesi boia», anzi: nel 2011 le esecuzioni capitali in Medioriente sono addirittura aumentate. A denunciarlo è stato Amnesty International nel suo rapporto annuale sulla pena di morte pubblicato il 27 marzo scorso. Pur mostrando come i Paesi che hanno fatto ricorso alla pena capitale siano diminuiti di oltre un terzo rispetto al decennio scorso, lo studio riporta dati allarmanti, in crescita rispetto al 2010. Decapitati, impiccati, fucilati o uccisi da un’iniezione letale: così sono morte almeno 676 persone nel corso del 2011. A queste vanno sommate le esecuzioni effettuate in Cina: una cifra difficile da definire visto che le autorità locali ritengono il numero dei condannati sul proprio territorio un segreto di Stato.

Mentre dalla Tunisia al Bahrein milioni di manifestanti scendevano in strada invocando la caduta dei loro regimi, gli apparati repressivi dei Paesi limitrofi facevano il possibile per terrorizzare i cittadini e dissuaderli dall’emulare i vicini rivoluzionari. A far salire alle stelle il numero delle condanne in Medioriente sono stati Iran e Arabia Saudita, che hanno mandato alla gogna anche cittadini accusati di reati come sodomia e stregoneria. «L'aumento delle condanne capitali in questi due Paesi giustifica, da solo, la differenza di 149 esecuzioni a livello mondiale rispetto ai dati del 2010», si legge sul rapporto. Le autorità di Teheran sarebbero responsabili della morte di almeno 360 persone, contro le 82 di Riyad. A queste si sommano le 68 condannate dell’Iraq e le 41 dello Yemen. Oltre che per rapina a mano armata e terrorismo, nei dintorni di Teheran si può finire sotto le mani del boia anche per adulterio, prostituzione, apostasia dell’Islam, stupro e omosessualità. Al di là dei numeri dichiarati, Amnesty ammette di aver ricevuto rapporti credibili nei quali si denunciano numerose esecuzioni non riconosciute, circa il doppio dei numeri ufficiali, che hanno avuto luogo sempre in Iran. Nel mese di dicembre, si sarebbe avvertita anche una «nuova ondata di condanne. Una strage di proporzioni impressionanti» che ha cercato di contenere i reati legati alla droga.

In testa alla classifica dei Paesi più crudeli si conferma la Cina, che detiene il record di esecuzioni. Pur cessando di «fornire dati basati su fonti pubbliche cinesi, poiché è probabile che sottostimino enormemente il numero effettivo delle esecuzioni», Amnesty non ha dubbi: «sono migliaia le persone messe a morte» da Pechino. Bielorussia a parte, l'Europa e lo spazio ex sovietico sono risultati esenti da esecuzioni, mentre gli Stati Uniti sono stati ancora una volta l’unico Paese americano e il solo membro del G8 a servirsi della pena capitale. Sono 43 i morti negli States, un dato recepito come un parziale successo da Suzanne Nossel, direttrice di Amnesty a Washington. «Abbiamo fatto progressi e anche la popolarità della pena di morte registra ogni giorno livelli più bassi». L’Illinois è diventato il sedicesimo Stato abolizionista e, rispetto al 2001, le condanne a morte sono dimezzate.

Altri dati inducono all’ottimismo. Per la prima volta in diciannove anni, in Giappone e a Singapore non sono state registrate esecuzioni. «Dibattiti pubblici sulla pena di morte e la sua abolizione sono stati tenuti in Paesi come Cina, Corea del Sud, Malesia e Taiwan». La Sierra Leone ha istituito una moratoria ufficiale sulle esecuzioni ed è confermato che un documento simile è stato adottato in Nigeria. Anche se nel 2011 il trend verso l'abolizione della pena di morte ha segnato passi concreti e significativi, ai governanti che continuano a ricorrere alla pena capitale Amnesty parla chiaro: «Non siete al passo col resto del mondo. È tempo che prendiate iniziative per porre fine alla più crudele, disumana e degradante delle punizioni».