Il feudo di Mosca. Nelle ultime settimane qualcosa è cambiato in uno dei «feudi» della Russia, la Transnistria, regione della Repubblica di Moldova, a sua volta uno degli Stati più poveri e arretrati d’Europa, divenuto indipendente nel 1991 dopo la dissoluzione dell’Urss. Collocata a oriente, al di là del fiume Dnestr (Nistru in romeno/moldavo), durante il regime sovietico la Transnistria ospitava la maggior parte degli impianti industriali – ormai divenuti esempi di archeologia industriale sovietica o, quelli ancora funzionanti, strutture poco produttive e altamente inquinanti. È anche la regione in cui la popolazione moldava è minoritaria: secondo il censimento del 2004, i moldavi (romenofoni) sarebbero il 31,9%, i russi il 30,3 % e gli ucraini il 28,8 %. Questo ha fatto sì che, ancor prima della dissoluzione dell’Urss e nella prospettiva di una ipotetica (e all’inizio degli anni Novanta non impossibile) riunificazione della Moldova con la Romania, la regione si sia dichiarata unilateralmente indipendente. Al momento la Transnistria non è riconosciuta da alcuno Stato della comunità internazionale, neanche dalla Russia, nonostante il loro strettissimo legame. Gli unici due Paesi con cui ha stretto relazioni sono anch’essi non riconosciuti dall’intera comunità internazionale: l’Ossezia e l’Abcazia.

Il vincolo con la Russia è favorito dalla composizione etnica della regione, ma si è consolidato soprattutto grazie all’aiuto economico fornito da Mosca, che garantisce alla Transnistria gas a condizioni favorevolissime e massicci prestiti. La dipendenza economica si è tradotta nel sostanziale asservimento politico, come dimostrato dal fatto che per venti anni le elezioni presidenziali (non ufficiali, ovviamente) nella regione siano state vinte da Igor Smirnov, considerato la longa manus del Cremlino in Transnistria.

Ma alla fine dello scorso anno qualcosa è cambiato. Nelle nuove elezioni presidenziali, svoltesi in due turni il 12 e il 26 dicembre, Smirnov è stato sconfitto. Un dato non significativo in sé: l’ex presidente aveva già perso il sostegno russo nei mesi precedenti le elezioni, tanto che era stato invitato a ritirarsi dalla corsa presidenziale. I motivi di questa rottura sono in parte legati alla cattiva gestione dei fondi ricevuti da Mosca, in parte alle richieste di Unione europea e Nato al Cremlino di dare segni di buona volontà in cambio rispettivamente di un dialogo più facile sul disarmo europeo e di un’apertura sulla questione dei visti per i russi nella Ue. Piuttosto è interessante il fatto che il candidato sostenuto da Mosca, il portavoce del Parlamento Anatoly Kaminski, sia stato sconfitto da un altro candidato, il suo predecessore come speaker del Parlamento Evgenij Shevchuk, all’inizio il meno accreditato tra i tre contendenti. Al primo turno il distacco tra i tre non era molto forte: Schevchuk aveva raccolto il 38,5% dei voti, mentre Kaminski aveva superato di poco Smirnov (26,5% contro il 25%), ma al secondo Schevchuk ha riportato una vittoria schiacciante, ottenendo il 74% dei consensi contro il 20% di Kaminski.

Per molti osservatori, soprattutto in Occidente, la vittoria di Shevchuk è un segnale incoraggiante nella direzione dell’apertura di rapporti di tipo diverso con la Repubblica di Moldova. Per la verità, le prime dichiarazioni del nuovo presidente sono apparse contraddittorie: da un lato ha insistito sulla necessità di ottenere il riconoscimento internazionale per la Transnistria e ha ribadito di voler consolidare il rapporto con la Federazione Russa; dall’altro si è dichiarato disposto al dialogo con Chişinău. Sarà il tempo a mostrare quanto queste affermazioni siano il frutto della cautela e quanto di effettiva continuità con il passato. Quello che è certo è che uno stacco netto dalla Russia non appare plausibile, vista la dipendenza economica della Transnistria. In ogni caso anche in Romania gli organi di stampa hanno mostrato un cauto ottimismo per una ipotetica soluzione della controversia interna alla «sorella» Moldova.

Molte speranze sono riposte nel nuovo presidente anche sul fronte della lotta alla corruzione: la Transnistria è considerata una sorta di «porto franco» per le attività di riciclaggio e contrabbando. In vista di una eventuale risoluzione del conflitto moldavo, anche nel senso voluto da Mosca della trasformazione dello stato in una federazione, questo è un passo fondamentale.