Dopo l’11 settembre 2001 si è sempre più affermata una visione che qualifica i rapporti conflittuali tra Occidente e islam in termini di «scontro di civiltà». Quello che rischiamo di non vedere è come le contrapposizioni più maligne operino «all’interno» di nazioni e paesi, fra radicalismi etnici e/o religiosi.

Al di là del Medio Oriente, ad esempio, una grande democrazia come l’India appare oggi minacciata dal nazionalismo induista, che fa della «purezza» etnica e religiosa un motivo di dominio e di esclusione. Basandosi sulla sua profonda conoscenza della realtà politica e culturale indiana, Martha Nussbaum descrive la nascita dell’estremismo induista di destra, ne approfondisce la peculiarità culturale e rilegge gli eventi significativi che hanno portato il movimento alla violenza genocida. Un’occasione per riflettere sul modo in cui un’ideologia religiosa può arrivare a minacciare il pluralismo democratico e lo stesso principio di legalità. Non dimentichiamo che forme più o meno aggressive di radicalismo-localismo sono presenti anche in molte democrazie occidentali.

Martha C. Nussbaum insegna Law and Ethics nell’Università di Chicago. Fra i suoi libri pubblicati in Italia: «Terapia del desiderio» (Vita e Pensiero, 1998), «Coltivare l’umanità» (Carocci, 2006), «Nascondere l’umanità» (Carocci, 2007). Al Mulino sono usciti: «La fragilità del bene» (2004), «Diventare persone» (2001), «Giustizia sociale e dignità umana» (2002), «Le nuove frontiere della giustizia» (2007), «Giustizia e aiuto materiale» (2008), «L’intelligenza delle emozioni» (2009).

   
►Un brano tratto dall'introduzione:


Se la democrazia indiana vacilla. Ciò che accade in India rappresenta una minaccia seria al futuro della democrazia nel mondo. Il fatto stesso che ciò non sia stato ancora compreso dalla maggioranza degli americani dimostra in che modo il terrorismo e la guerra in Iraq li abbiano distolti da avvenimenti e da problemi di portata fondamentale. Se vogliamo veramente comprendere l’impatto del nazionalismo religioso sui valori democratici, l’India ci sta fornendo un esempio che dovrebbe preoccuparci molto: se non ne teniamo conto, qualsiasi comprensione più generale del fenomeno diventa assai incompleta. Il caso indiano, inoltre, ci mostra come una democrazia può sopravvivere all’attacco dell’estremismo religioso, il che può tornare utile a tutte le democrazie contemporanee.
Per capire l’attuale situazione dell’India, dobbiamo rivolgere la nostra attenzione a una serie di avvenimenti che ci mostrano con sufficiente chiarezza in che modo l’ideologia religiosa può arrivare a minacciare gli ideali di un pluralismo tollerante e lo stesso principio di legalità. Gli avvenimenti di cui parlerò qui rappresentano un esempio terribile di violenza genocida; e non solo. Più in profondità, infatti, rivelano la connivenza dei massimi livelli di governo nell’abbandono della legalità; tanto da giungere ad ammettere implicitamente che davanti alla legge i cittadini della minoranza non sono più uguali a tutti gli altri e che la loro vita non è degna della protezione della polizia e della legge.
[…] Lo scontro fra sostenitori dell’omogeneità etnoreligiosa e sostenitori di un tipo di cittadinanza più inclusivo e pluralistico è fra due tipi di persone all’interno di una stessa società. Ma si tratta di uno scontro che allo stesso tempo esprime tendenze presenti, in qualche misura, in quasi tutti gli esseri umani: la tendenza a predominare come forma di auto-protezione, contro la capacità di rispettare altri che sono differenti e vedere in tale diversità una ricchezza per la nazione, piuttosto che una minaccia alla sua integrità. Poiché lo scontro interiore per molti versi sta dietro lo scontro culturale e lo alimenta, la vicenda del Gujarat va letta sia come storia di individui sia come storia di movimenti politici. Gandhi pensava che l’autonomia in senso politico dovesse nascere dall’autocontrollo in senso psicologico: soltanto padroneggiando gli impulsi aggressivi in noi stessi potremo diventare quel tipo di cittadini che riescono a convivere rispettosamente con gli altri in termini di eguaglianza, e soltanto producendo cittadini che si autocontrollano una nazione riuscirà a rimanere libera dal predominio esterno. Gli avvenimenti nel Gujarat danno ragione a Gandhi. La violenza non proviene da gente nata cattiva. Proviene piuttosto da una visione del mondo paranoica e ansiosa, in cui l’aggressività è vista come l’unico possibile antidoto a secoli di umiliazione. Il suo antidoto risiede in quelle qualità di simpatia, immaginazione e rispetto che hanno profonde radici nelle tradizioni indiane, sebbene la vittoria finale non sia affatto scontata.
Analizzare il pensiero e le scelte di figure rappresentative di entrambi i campi, induisti nazionalisti e induisti pluralisti, così come si rivelano da interviste e incontri diretti, è un modo per approfondire la dimensione gandhiana del Gujarat. Per renderci conto delle battaglie che le persone concrete ingaggiano anzitutto con se stesse in un clima di incertezza politica, oltre a mostrarci le diverse concezioni della vita che motivano i movimenti politici. Per le democrazie è importante incentivare una rispettosa convivenza fra gente di convinzioni e fedi differenti. Capire come vivono queste persone, quali sono le loro difficoltà, che sorta di immaginario e possibilità critiche mette a loro disposizione l’istruzione ricevuta ci aiuta a pensare alle cose di cui ha bisogno la democrazia per rafforzarsi. Vedere, invece, come i ragazzi sono allevati per diventare assassini di innocenti (il caso del Gujarat) ci fa capire ciò che la politica deve assolutamente evitare in prospettiva. Swaraj, l’autonomia, è un valore politico prezioso. Come però sapeva bene Gandhi, essa può nascere e alimentarsi soltanto in una cultura di autocritica e compassione, e soltanto per opera della persona che non ha paura di essere una fra tante altre eguali.