Lo sapete che la settimana scorsa, a Genova, si è svolto il Gay Pride? Vale la pena chiederlo: la copertura mediatica non è stata la solita. Mentre il video della manifestazione è stato per un giorno il più cliccato su YouTube – centotrentamila contatti da utenti registrati, oltre mezzo milione di persone – la stampa e la televisione nicchiavano. Anche i giornali di sinistra: «la Repubblica» ha dedicato all’evento due colonne in ventunesima pagina, appena compensati dai servizi nell’edizione locale; «L'Unità», l’intera pagina sedici: ma con il nuovo formato è bastata una foto di Vladimir Luxuria in abito da sposa a occuparne quasi la metà.

E i telegiornali, che gli anni scorsi non perdevano l’occasione di mandare servizi da carnevale di Rio? Anche loro non pervenuti: con la solita eccezione del Tg3, anche qui soprattutto nell’edizione locale. A dettare la linea sembra essere stato il cardinale Angelo Bagnasco, vescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale; astenendosi dai previsti anatemi, anche lui ha concorso a oscurare l’evento: ma – nell’Italia delle ronde e del reato di clandestinità – gliene siamo quasi grati.
Anche l’andamento della manifestazione è stato più sobrio, quasi sofferto. I duecentomila partecipanti – quarantamila, secondo la Questura – contando anche tutti i genovesi che si sono uniti al corteo, per un tratto hanno sfilato in silenzio, ricordando le vittime della repressione in Iran. Anche Don Gallo, il prete da strada animatore della Comunità di S. Benedetto al Porto, presente alla sfilata con un carro ispirato dalla Princesa di De André, era meno torrenziale del solito; si è persino detto preoccupato del silenzio del vescovo, invece di tirare un sospiro di sollievo.
L’unico rappresentante delle istituzioni a metterci la faccia è stata la sindaco Marta Vincenzi, in nome della sua vecchia idea di Genova come «Città dei diritti». I diritti, già. Certo non siamo in Svezia, dove la settimana dopo i luterani hanno eletto «vescovo» di Stoccolma una signora lesbica con un figlio. Ma persino nella cattolicissima Irlanda pare stiano pensando a una legge sulle unioni di fatto estesa ai gay; in molti paesi d’Europa, del resto, i Gay pride sono ormai ritenuti del tutto superati, non essendoci più problemi d’integrazione, non di questo tipo, almeno: in Olanda, se proprio uno deve proprio discriminare qualcuno, se la prende con gli islamici, non con i gay.
Il bello è che negli stessi giorni il Partito democratico riuniva i propri quarantenni, al fine di rinnovarsi (di già?) e di sottrarsi al rischio dell’autoreferenzialità (ancora?): e che l’unico tema a scaldare la platea, pensate un po’, era quello della laicità, dei diritti uguali per tutti. Oddio, dirà qualcuno, non si starà mica pensando di trasformare il Pd in un altro partititino arcobaleno, di quelli che non riescono né a tutelare le minoranze che promuovono né ad arrivare al quattro per cento alle Europee? Tranquilli, non è questo il pericolo. Il pericolo vero, semmai, è dimenticare che quella materializzatasi per un giorno a Genova era solo la più visibile delle tante minoranze che – contandole tutte – formano la maggioranza di questo paese.