Uno tsunami politico. L’11 settembre scorso i residenti di una vasta area del Giappone nordorientale hanno commemorato con cerimonie le vittime della triplice calamità dell’11 marzo (terremoto, tsunami e incidente alla centrale nucleare di Fukushima): più di 15.700 morti e 4.100 dispersi nella regione del Tohôku. Il presidente della Tepco, la società che gestisce l’impianto di Fukushima, ha chiesto scusa agli abitanti della prefettura e a tutta la popolazione giapponese, promettendo di compiere ogni sforzo per mettere in sicurezza i tre reattori della centrale e permettere così alle migliaia di residenti evacuati (dalla zona non abitabile di 20 km stabilita dal governo, e da altri luoghi in cui si registrano intense radiazioni) di ritornare il più presto possibile nelle loro case. Non è chiaro però quando ciò potrà avvenire: nonostante l’impegno congiunto della Tepco e del governo di raggiungere lo stato di fermo a freddo ("cold shutdown") dei reattori entro metà gennaio 2012, c’è il problema della decontaminazione di tonnellate d’acqua altamente radioattiva depositata in vari punti dell'impianto. I governi locali e quello centrale progettano di restaurare totalmente le aree disastrate nel nord-est in 10 anni ma per la ricostruzione, secondo il piano governativo, occorreranno almeno 23 trilioni di yen nella prossima decade, di cui 19 nei primi 5 anni. Per coprire i costi il governo sta considerando la possibilità di aumentare le tasse, ma nessuna decisione è stata presa finora.  

Il gabinetto di Noda Yoshihiko varato il 2 settembre (si tratta del sesto primo ministro in cinque anni e il terzo da quando il Partito democratico ha preso il potere due anni fa), si trova ad affrontare enormi problemi. Il Pd, formatosi 15 anni fa e tuttora un’insieme di fazioni in lotta tra loro, controlla solo la camera bassa, mentre una fiera opposizione (Partito liberal-democratico, al potere quasi continuativamente dal 1955 al 2009, e Nuovo Kômeitô) controlla la camera alta. Il 16 settembre il Pd, che ha disperatamente bisogno della cooperazione dell’opposizione per far passare il terzo bilancio supplementare del 2011 per finanziare la ricostruzione del Tohôku, ha accettato all’ultimo momento la proposta di questa di estendere la sessione straordinaria della Dieta fino al 30 settembre (già ad agosto, su pressioni dell’opposizione aveva rinunciato ad alcune fondamentali promesse contenute nel suo vincente manifesto elettorale del 2009). Le dimissioni, ad  appena otto giorni dalla nomina, del ministro del Commercio e dell’Industria – a causa d’affermazioni poco rispettose verso le vittime del disastro nucleare – hanno provocato forti critiche, ma l’opposizione biasima il governo Pd anche per la sua inetta politica estera, denunciando la debolezza diplomatica del gabinetto Kan di fronte alle provocazioni subite da Pechino (con l’entrata di due navi cinesi nelle acque delle contese isole Senkaku) e Mosca (con l’ingresso nello spazio aereo nipponico di due bombardieri russi che si sono avvicinati alle isole settentrionali oggetto di contenzioso tra i due paesi). 

Noda fa ben attenzione ad evitare commenti su questioni controverse, come la revisione della costituzione o l’autodifesa collettiva, per concentrarsi su un’unica priorità: la ricostruzione dopo i disastri e la fine della crisi nucleare. Visitando le prefetture di Miyagi, Iwate e Fukushima, ha promesso di accelerare la ricostruzione: senza la rinascita del Tohôku colpito dalla catastrofe, dove almeno 70.000 persone hanno perso il lavoro, non può esserci ripresa per il Giappone (anche se il governo ipotizza per il 2012 una crescita  economica del 2.5% grazie alla domanda interna trainata proprio dalla ricostruzione). La questione è se il gabinetto di Noda sarà in grado di ristabilire la fiducia del paese nella politica (l’indice di gradimento del gabinetto Kan era crollato nell’ultimo periodo al 10-20%) e costruire un “nuovo Giappone” all’altezza delle aspettative della popolazione dopo la tragedia dell’11 marzo.