Elezioni europee: Finlandia. Come altrove anche in Finlandia “tengono” i liberalconservatori, e vincono populisti e verdi. Il partito di governo tradizionale e pressoché inamovibile (gli “agrari” del Centro) ottiene una prestazione mediocre. I socialdemocratici oggi all’opposizione piombano al 17%, dalle percentuali già non entusiasmanti ottenute alle politiche.

Il partito della minoranza svedese come sempre riesce ad ottenere una propria rappresentanza superando la quota di sbarramento minima fissata al 6% (6,1%). Tale soglia di sbarramento è assai importante per comprendere il responso elettorale. Per esempio, è bene notare che solo per pochi decimali la sinistra “radicale” è rimasta sotto al 6%. Mentre il voto della destra populista, che parrebbe accreditato del 14%, va depurato da un’alleanza elettorale spuria con i democristiani, che con solo il 4.4% riescono grazie a questo accordo elettorale a portare un seggio al gruppo del PPE di Strasburgo. Un importante traino di questo risultato è stata certo la notevole prestazione personale del leader dei nazional-populisti “Veri Finlandesi”, Timo Soini, che con ben 130.000 preferenze ha contribuito al successo in maniera decisiva.
I conservatori del “Partito unitario” sono certo anch’essi, per lo meno, nel novero dei non-perdenti (23,2%). Il loro rappresentante in meno proviene solo dal fatto che il paese ha dovuto rinunciare a un seggio complessivo per via dell’allargamento Ue. Più nel dettaglio, poi, essi si giovano di un governo in cui temi conservatori e ambientali si sposano: tipicamente, con l’idea di sostituire parte della tassazione progressiva con imposte indirette “Verdi”. Una strategia tesa a separare alcuni “ceti medi riflessivi” dalla sinistra, propria anche di Cameron nel Regno Unito, che in Finlandia è rappresentata dalla deputata europea Sirpa Pietikäinen.
Il partito ambientalista vero e proprio arriva al 12,4% conquistando due eurodeputati, mentre il Centro, eternamente al governo (e peraltro sbattuto in prima pagina in questi giorni per questioni di finanziamenti illeciti) non entusiasma con il suo 19%, verosimilmente perché per varie ragioni i partiti classici del sistema politico del paese non riescono bene a mobilitare i propri elettori in questo tipo di consultazione (in Finlandia la partecipazione elettorale non è alta come fra gli altri paesi del nord Europa, ma è comunque di solito molto più elevata). Questa, comunque, è ad oggi una delle analisi compiute dai socialdemocratici finnici, confrontati, ad esempio, con gli omologhi norvegesi, oggi a capo di un governo di sinistra che pare cavarsela bene. Secondo questi ultimi la capacità di esprimere un messaggio innovativo, non compromesso da passate coalizioni con i moderati, e la scelta (che vanno compiendo con più decisione anche danesi e svedesi) di allearsi con il resto della sinistra, aiuta ad evitare la trappola della mancata distinzione delle fratture politiche tradizionali, del “sono tutti uguali” che molto spesso giova ai nazional-populisti.
Comunque sia la crisi, è evidente, non è stata sfruttata dai socialdemocratici finlandesi (né dalla maggior parte dei loro compagni europei) positivamente come è accaduto in Norvegia. E questo malgrado essi siano all’opposizione, malgrado la caduta del 25% dell’export in un paese in cui il 40% del Pil è fatto di esportazioni, e malgrado la disoccupazione sia oltre l’8%, aumentando del +2% in pochi mesi. L’ipotesi dei socialdemocratici finlandesi è che, avendo dovuto affrontare negli anni Novanta una crisi particolarmente grave con mezzi particolarmente drastici, la loro credibilità (anche intesa come convinzione soggettiva) nel proporre un cambiamento di paradigma economico è ancora limitata. Al momento, quindi, vince la semplice visione di una “soluzione tecnica”, oppure l’istinto populista di arroccamento e protezione. E i socialdemocratici, in questo contesto, non possono mobilitare i propri elettori su nessuno dei due versanti. Così a trarne vantaggio è un partito conservatore che già da anni ha abbandonato i dogmi “thatcheriani” e si è dimostrato propenso (per quanto soltanto in una fase di emergenza) ad utilizzare la leva pubblica.