Il ruggito della “piccola tigre” filippina. Tra il 3 e il 9 settembre 2011 il presidente filippino Benigno Aquino si è recato in visita ufficiale a Pechino, sancendo una svolta storica nelle relazioni tra Cina e Filippine. I temi della cooperazione economica bilaterale e della controversia sui confini nel Mar cinese meridionale, in particolare sulle isole Spratly e Paracel (ricche di gas, petrolio, pescato e snodo logistico/commerciale fondamentale trattandosi della seconda rotta mondiale per il trasporto di container)  sono stati al centro delle conversazioni tra i leader dei due Stati, oltre che dell’attenzione dei media internazionali e in particolare del Vietnam, che rivendica la propria influenza nella zona marittima. Negli ultimi mesi, infatti, il governo di Hanoi ha tentato di realizzare un accordo diretto con Pechino per il controllo dell’area (suscitando critiche e manifestazioni di protesta nel paese da parte dell’opinione pubblica vietnamita, contraria alla politica del “servire la Cina”). Lo scorso luglio, a conclusione del vertice tra i ministri degli Esteri dei Paesi ASEAN, riuniti a Bali per il summit annuale sulla sicurezza, le Filippine avevano proposto di rimettere la questione delle isole Spratly all’arbitrato delle Nazioni Unite, suscitando la reazione di Pechino che persegue invece la linea dei rapporti bilaterali.

A conclusione della visita di Stato di Aquino in Cina, si profila tra i due paesi l’evoluzione verso la cooperazione economica e diplomatica in un quadro stabile e graduale. Oltre ad aver sottoscritto un programma di sviluppo economico quinquennale (2012-2016) con l’obiettivo di incrementare il commercio bilaterale fino alla “quota-record” di 60 miliardi di dollari entro il 2016, il frutto dei colloqui sino-filippini in merito alla controversia marittima consiste nell’impegno reciproco per il mantenimento del dialogo, della pace regionale e della stabilità alla luce della Dichiarazione sulla condotta delle parti nel Mar cinese meridionale firmata dalla Cina e dall’ASEAN nel 2002.

Se queste dichiarazioni congiunte non sembrano soddisfare le attese dei media, indubbiamente rappresentano la prosecuzione di una linea di “fedeltà” di Manila alla politica dell’“Unica Cina”, tema centrale nell’analisi delle relazioni sino-filippine. Le Filippine rappresentano storicamente uno dei principali alleati asiatici degli Stati Uniti, ma già nel corso della presidenza di Ferdinand Marcos in realtà fu avviato un forte ed intenso avvicinamento a Pechino. Con la fine del regime di Marcos (1986), le successive amministrazioni di Aquino e Ramos hanno affrontato l’ascesa pacifica della Cina in Asia sud-orientale non solo confrontandosi sul piano delle relazioni economiche ma attraverso un progressivo adeguamento alla “One China Policy” che è sfociato nell’accordo del 2002 (significativo che al momento della firma della Dichiarazione di Condotta tra gli Stati dell’Asean e la Cina, Taiwan non sia stata invitata). 

Indipendentemente dalla reale e futura efficacia della visita di cinque giorni del presidente Aquino a Pechino, la posizione assunta dalle Filippine nel corso del contenzioso con la Cina a proposito delle isole Spratly e Paracel si è rivelata decisiva nell’accreditare il ruolo strategico regionale della “piccola tigre” filippina che, a partire dagli anni Duemila, è riuscita – confermando l’alleanza strategica con gli Usa – a rafforzare progressivamente le relazioni diplomatiche e commerciali con Pechino.