L’ultima frontiera d'Europa. Per la Turchia, la via di Bruxelles è sempre stata irta di ostacoli: ed è una volta di più la questione cipriota che rischia di far deragliare i negoziati di adesione. Prima il ministro degli Esteri, Ahmet Davutoğlu, in occasione di un incontro ad Ankara col commissario europeo all'Allargamento, Štefan Füle (il 13 luglio), una settimana dopo il premier Recep Tayyip Erdoğan in visita sull'isola di Afrodite e Adone (il 19 e 20 luglio), hanno infatti affermato che se la Repubblica di Cipro assumerà la presidenza di turno dell'Unione europea – nella seconda metà del 2012 – prima della riunificazione tra le due entità politiche di Cipro, la Turchia congelerà per tutto il semestre i rapporti con l'Ue (solo con la presidenza, a dire il vero: il titolare del neonato ministero degli Affari europei, Egemen Bağış, ha tenuto a precisare che l'eventuale boicottaggio non riguarderebbe la commissione guidata da Barroso). Fine dei giochi? Semplice irrigidimento retorico per finalità interne? Sollecito per i ciprioti – dai toni allora sbagliati – a trovare al più presto una soluzione definitiva?

A causa dell'intervento armato di Ankara del 20 luglio 1974 – in risposta al golpe nazionalista di qualche giorno prima contro l'arcivescovo e presidente Makarios, che mirava all'enosis (unione) con la Grecia – e della conseguente occupazione militare di un terzo del suo territorio, l'isola mediterranea è infatti divisa tra la Repubblica di Cipro internazionalmente riconosciuta (membro dal 1° maggio 2004 dell'Europa dei 27) e la Repubblica turca di Cipro settentrionale (Kktc), istituita nel 1983 e riconosciuta solo da Ankara: abitate rispettivamente, dopo lo “scambio di popolazioni” del 1975, dai grecociprioti ellenofoni e ortodossi e dai turcociprioti turcofoni e musulmani (a cui si sono aggiunti, nel corso degli anni, decine di migliaia di coloni provenienti dall'Anatolia). I negoziati per la riunificazione sono partiti quasi immediatamente, già nel 1977 è stato trovato un accordo preliminare per uno stato federale “bizonale e binazionale” che non ha mai avuto applicazione concreta, e con il fallimento del doppio referendum sul contestatissimo piano Annan – sì turcocipriota, no grecocipriota – le trattative si sono quasi del tutto arenate.

Un nuovo impulso è arrivato dal Segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, che ha fatto incontrare per tre volte le parti negli ultimi otto mesi – l'ultima, il 7 luglio a Ginevra – e che spera in un accordo di massima per ottobre: possibile grazie al fitto calendario di 19 nuovi vertici tra i presidenti Dimitris Christofias e Derviş Eroğlu, avviati il 25 luglio. Anzi, lo stesso Davutoğlu si era detto fiducioso, dopo il vertice in Svizzera, del buon esito dei colloqui. Perché allora la posizione intransigente della Turchia? Nella Kktc il 20 luglio si celebra – con una parata militare e altri momenti solenni – la “festa della pace e della libertà” in ricordo dell'intervento turco e i turcociprioti hanno duramente protestato – a fine gennaio e inizio marzo – per un piano di austerità imposto da Ankara. Il premier turco, insomma, ha voluto approfittare di una ricorrenza particolarmente sentita per rassicurare i turcociprioti – prima con ampia affissione di manifesti, poi di persona – dell'immutato sostegno politico ed economico della Turchia. E anzi, ha annunciato la realizzazione – entro il 2014 – di una condotta sottomarina per il trasporto di acqua (Cipro soffre regolarmente di siccità), mentre è allo studio un master plan energetico per rendere – entro il 2023 – tutta l'isola indipendente. Christofias e il ministro degli Esteri greco Lambrinidis non hanno gradito i toni perentori del premier turco e hanno risposto per le rime. L'arcivescovo Chrysostomos II non ha apprezzato che la Repubblica di Cipro, in seguito all'esplosione in una base militare che ha fatto 13 vittime e distrutto un'importante centrale elettrica, stia acquistando chilowatt supplementari dalla Kktc: e ha dichiarato che avrebbe preferito girare con una lanterna. Tra minacce e ripicche, la riunificazione di Cipro – che rischia invece una definitiva separazione – e l'ingresso della Turchia nell'Unione europea sembrano decisamente più lontani.