Da mesi, per tutta la campagna elettorale ma anche da prima, siamo stati afflitti su stampa e televisione da un profluvio di sondaggi elettorali che ci hanno informato quotidianamente sui sospiri e sui più minuti umori dell’elettorato italiano. Si è trattato di una massa di informazioni sulla cui attendibilità nessuno metterebbe la mano sul fuoco.

Ma la perla dell’improvvisazione ascientifica va assegnata, a mio parere, al telegiornale di LA 7. Ogni lunedì sera ci ha regolarmente informato delle intenzioni di voto degli italiani, segnalandoci spostamenti finissimi fra i partiti da una settimana all’altra, anche di 0,1 punti percentuali. Ora, si noti che si tratta – come segnalatoci sul sito sondaggipoliticoelettorali.it, dove per legge i realizzatori di sondaggi diffusi sui mezzi di informazione devono pubblicare alcune informazioni metodologiche - di campioni di 1.000 casi. Sappiamo che ciò significa avere informazioni più o meno da circa 600 elettori, dati i tassi di incertezza o di reticenza sul proprio voto (“non so come voterei”, “non vado a votare” oppure “non te lo dico”).

Ora, anche un ragazzino delle medie sa calcolare che lo 0,1% di 600 fa 0,6: quindi gli spostamenti di voto di 0,1% fra i partiti sono stime che si fondano sulle risposte di… 0,6 persone, neppure una persona intera! Si noti che sullo stesso sito, nel quale sempre per legge deve essere comunicato l’intervallo fiduciario delle stime, il medesimo istituto che ha fatto il sondaggio comunica che le sue stime sono affette da un errore del 3,1%. Quindi: si segnalano spostamenti fra i partiti di 0,1% basati su stime affette da un errore del 3,1%.

Ma l’ineffabile sondaggista in questione ha superato se stesso il giorno successivo ai referendum del 12-13 giugno, in un momento di grande impatto dei sondaggi, in quanto in grado di influenzare l’interpretazione di un importante evento politico. Il sondaggio in questione ha fornito informazioni su un dato politicamente cruciale, e cioè la percentuale di elettori di ogni partito che si sono recati alle urne ai referendum. Secondo queste stime, per fare un esempio, dell'Idv si sarebbero recati alle urne l'80,5% degli elettori. Solo che l'Idv è accreditato di un 5% di voti: se si assume a riferimento un campione effettivo di 800 casi, trattasi di una quarantina di persone. Campione semplicemente microscopico, sul quale nessuno statistico si azzarderebbe a ricavare alcuna stima a livello nazionale (che in questo caso viene fornita con una precisione che arriva fino al punto decimale…!). La statistica ci insegna che, anche nella situazione di un campione estratto con un criterio perfettamente casuale (caso teorico: i campioni dei sondaggi veri ne sono lontanissimi!), una stima di questo genere sarebbe affetta da un errore di circa 12 punti percentuali, come a dire che gli elettori dell'Idv sono andati a votare in una percentuale che sta fra 68 e 92%. Insomma, non ne sappiamo nulla. Una simile incertezza caratterizza anche le stime riferite ai votanti degli altri partiti minori, quali Sel, Terzo Polo, Lega, riportate nel sondaggio.

Questo modo di operare – non si sa bene se disonesto o incompetente – sarebbe anche tollerabile se si trattasse di un caso isolato, di un “furbetto del quartierino” che cerca di accreditarsi nel mondo dei sondaggi con qualche scoop disinvolto. Il fatto è che il sondaggio in questione è stato ripreso in maniera acritica dalla stampa più qualificata, per esempio da “la Repubblica” e da “Il Messaggero” (14 giugno). Ma è concepibile che le redazioni dei mezzi di informazione non si possano attrezzare di una persona dotata di una competenza “aritmetica” di base, al vaglio della quale far passare le informazioni in qualche modo contenenti numeri? E non parliamo dell’assordante silenzio dell’Agcom, autorità per la garanzie nella comunicazione, che avrebbe il compito di vigilare sulla correttezza di questo tipo di comunicazione politica.

 

Nota: Si veda l'appello rivolto proprio ad Agcom, scaricabile qui, firmato da studiosi e docenti universitari.