“Il contadino meridionale è legato al grande proprietario terriero per il tramite dell’intellettuale”. Queste parole, che Antonio Gramsci scrive nella Questione meridionale, sono capaci, da sole, di mettere in crisi il confuso dibattito che si è scatenato, prima sui giornali e poi sui social network, sul rapporto tra "élite" e "popolo"
La discussione sul tema è in corso in tutte le democrazie, con Inghilterra e Francia osservate speciali, Italia alla prova di un inedito esperimento populista. Serve riflettere, con una giusta presa di distanza.
«Elite» e «gente» sono le categorie usate, ad esempio, da Alessandro Baricco nel suo articolo (“la Repubblica”, 11 gennaio) che vuole discuterne il ruolo e prospettare una via d’uscita dall’attuale impasse. Ma ritengo in modo sbagliato.
Il lavoro di Erik Olin Wright, già presidente dell’American Sociological Association e Vilas Distinguished Professor of Sociology presso l’Università del Wisconsin-Madison, si è concentrato principalmente sulla definizione e sulla rilevanza del concetto di classe sociale in una prospettiva neomarxista.
Un recente studio del McKinsey Global Institute stima che per circa il 60% delle professioni la quota di lavoro che può essere sottratta agli esseri umani e affidata alle macchine non è inferiore al 30%. In particolare, i lavori che si prestano meglio a essere automatizzati in questa fase vanno ricercati nel settore manifatturiero e del commercio al dettaglio
L’opera di Nanni Moretti sul Cile fa discutere e su queste pagine l'hanno già fatto Mario Ricciardi e Nicola Rossi. Premesso che la storia non dà torto né ragione, non assolve né condanna, ma è un oceano sconfinato in continua agitazione, provo a dire la mia, ma solo dopo avere avvertito, per onestà intellettuale, che non è difficile trovare storici che pensano l’opposto di me