La situazione della “monnezza” a Napoli, dopo quasi due decenni di “emergenza” continua, ha consolidato uno dei più stupefacenti e significativi ossimori che definisce una “normale emergenza”.L’argomentazione della straordinarietà dell’evento, oltre a giustificare anni di inefficienze istituzionali, corruzione politica e consistenti apporti mafiosi, tende a legittimare ogni sorta di intervento fuori dalle regole di un Paese civile e democratico (come l’intervento dell’esercito). Ma ci sono due novità: una riguarda le istituzioni pubbliche e l’altra i cittadini.
Se lo Stato italiano – come è ben riassunto in un titolo di un libro di Sabino Cassese di qualche anno fa – è uno Stato “introvabile”, nello stesso tempo esteso e debole, costoso e inefficiente, oggi nella situazione napoletana mostra in più una disgregazione mai raggiunta prima e una faccia gretta e particolaristica. A questo si è giunti con le lacerazioni nel governo tra Lega e PdL, e all’interno della stessa Lega, i reciproci blocchi e sgambetti e il linguaggio del “padroni a casa nostra” più simile all’atteggiamento “NIMBY” (acronimo inglese per Not In My Back Yard, ossia “Non nel mio cortile”) di molte proteste attuali che non a quello di una forza di governo che dovrebbe avere a cuore gli interessi generali (il che, detto tra parentesi, getta un’ombra cupa sul progetto federalista della Lega).
Ma questi strumenti e linguaggi appaiono consunti e riescono sempre meno a fare breccia su una popolazione incattivita e al limite della sopportazione.