Strano destino, quello del Partito democratico, al centro delle bufere giudiziarie. Torna in scena il rapporto tra etica e politica, solamente che questa volta coinvolge direttamente chi ha fatto della “questione morale” e dell’”etica pubblica” uno dei suoi valori fondanti. E lo ha fatto con merito perché, in un contesto dove moralità, trasparenza e correttezza dell’azione politica sono beni notoriamente in disuso, si è dato da tempo regole interne e principi di comportamento: la sospensione di Filippo Penati ne è la testimonianza.
Ma è inutile nascondersi dietro il classico dito, l’etica è qualcosa in più del semplice rispetto della legge. In altri termini: l’accertamento della responsabilità penale spetta alla magistratura e Penati ha il pieno diritto a tutte le tutele previste dall’ordinamento, con il rispetto che si deve a qualsiasi imputato che, nell’ambito delle procedure, manifesta la propria innocenza. Ma chi ricopre cariche politiche ha una forma di responsabilità diversa che richiede, nella gestione del potere, canoni di particolare rigore personale e di protezione della reputazione del partito che si rappresenta. Sono canoni che vanno scrutinati e verificati con attenzione prima e al di là degli accertamenti giudiziari, anche perché quando le ipotesi di reato emergono, la frittata, anche sul piano mediatico, è ormai fatta.