Ogni nazione ha non solo i suoi luoghi della memoria ma anche le sue date simbolo, i momenti nei quali si ricordano gli eventi che hanno marcato la vita del Paese. Impossibile pensare alla Francia senza ricordare il 14 luglio, data evocativa della Rivoluzione, oppure agli Stati Uniti dimenticando il giorno del Ringraziamento. Una comunità che si raccoglie e si riconosce unanimemente in quei momenti esprime una forte coesione nazionale. Anche grazie all’enfasi posta in quelle occasioni francesi e americani “sanno” perché stanno insieme, sanno da quali rami discendono. Sanno anche che cosa li ha divisi nel corso del tempo (le lotte politiche nei cambi di regime tra francesi, la guerra civile e la questione razziale tra gli americani), ma fanno prevalere gli elementi di unità e di continuità. E per rinsaldare questo sentimento di appartenenza comune servono le celebrazioni solenni dei momenti alti della propria storia.
Il nostro Paese è giovane, è un “late comer” in rapporto agli altri, e proprio per questo dovrebbe aver grande cura degli aspetti simbolici legati alla sua breve storia nazionale. L’allucinante dibattito sull’opportunità o meno di celebrare il centocinquantesimo anno dell’unità con una festività ha invece dimostrato il contrario. Poi, invece e per fortuna, le celebrazioni, anche al di là della ricorrenza del 17 di marzo, sono state ben più calde e partecipate di quanto non temessero tanti visi pallidi. E’ emerso un desiderio di identificazione di proporzioni inaspettate, che ha trovato mille rivoli di espressione, senza peraltro incontrare un interprete privilegiato.