“Ci sono in giro strane persone e ne succedono di ogni”, assicura Leonardo Dossena, sindaco di Lambrugo, in quel di Como. Dunque, ne conclude, è “meglio mettere le cose in chiaro”. Per farlo, che cosa c’è di meglio di una bella ordinanza che faccia un po’ d’ordine nel carnevale? Ecco allora che, in attesa della quaresima, ai lambrughesi non resta nemmeno la consolazione di girar per il borgo spetardando qua e là, o sparandosi addosso farina e schiuma da barba, e men che meno randellandosi l’un l’altro allegramente (per quanto il randello sia solo di plastica, e anche leggera).
Ma sono fortunati. Pur succedendone di ogni, a loro non succede quel che invece succede a Boscoreale, nel casertano. Là il sindaco non c’è più, e così ci ha pensato il commissario straordinario Michele Capomacchia, prefetto in pensione, a vietare ogni genere di carnascialesco mezzo più o meno contundente. Ma ci ha aggiunto anche l’uso delle maschere “che precludano l’immediato e sicuro riconoscimento del soggetto”. Se ne deve arguire che siano consentite tutte le altre, da quelle trasparenti a quelle che si portano in tasca.
Come a Boscoreale e a Lambrugo, in tutto il Paese è un fermento “sindacale” contro l’emergenza carnevale. A Martina Franca, per fare un esempio, i bar hanno l’obbligo di chiudere alle 20, per evitare che il carnevale – com’è peraltro sua abitudine millenaria – diventi occasione di “baldorie notturne”. E anche per mettere subito al lavoro i netturbini, ché poi se ne vanno a dormire. Ad Alatri è vietato non solo il lancio, ma anche la pura detenzione di “uova, ortaggi e simili” (la giurisprudenza alatrese avrà il suo daffare in relazione all’estensione semantica e botanico-zootecnica dell’aggettivo simili).