Che ne è della patria del diritto? Che fine hanno fatto i giuristi d’antan? Queste domande sorgono spontanee, dopo tre notiziole di questi giorni. La prima è del 23 febbraio: la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per il caso Abu Omar. Sai la novità, dirà qualcuno. Qui, però, la cosa suona un po’ più grave delle altre volte. Che i nostri servizi segreti abbiano collaborato alla extraordinary rendition verso l’Egitto di un imam sospetto di terrorismo non stupisce nessuno: suona però malissimo, dopo il caso Regeni. Ma soprattutto, dalle ottantuno pagine della sentenza, dal valore più simbolico che pratico, escono altrettanto male, se possibile, le massime autorità dello Stato e dunque l’intera immagine della Repubblica.
La seconda notizia è del giorno successivo: il Tribunale di Messina ha accolto il ricorso contro l’Italicum, la legge elettorale approvata la scorsa primavera e in vigore da luglio 2016. Qui la notizia sta nella celerità. Per il Porcellum, la cui incostituzionalità era molto più ovvia, ci sono voluti quattro anni e tre gradi di giudizio, prima che la Cassazione rinviasse gli atti alla Corte costituzionale. Qui ci ha pensato, in due mesi, uno dei diciotto tribunali di primo grado interpellati, accogliendo sei dei tredici motivi.