Negli ultimi dieci anni, tra le grandi questioni che vengono dibattute dalle agenzie internazionali nel campo del contrasto alla violenza basata sul genere e sull’orientamento sessuale – tra cui anche, per esempio, le mutilazioni genitali femminili, il traffico di esseri umani, l’aborto selettivo dei feti femmine, e così via – è emersa con forza quella dei crimini di "cosiddetto" onore, i "so-called honour crimes", come si dice nel tentativo di salvare la parola onore dalle violenze che essa giustifica in giro per il mondo.
Una maggioranza che non perde occasione per definire la Costituzione una gabbia troppo stretta, da modificare e comunque bypassare in nome di una supposta “Costituzione materiale”, che la calpesta quotidianamente quando si tratta di violare i diritti civili e di libertà degli individui (si veda da ultimo la legge sul, o meglio contro, le disposizioni di fine vita, che violano gli articoli 2 e soprattutto 13 sul diritto inviolabile alla propria integrità).
Nel giro di un mese i tassi di interesse sui titoli di Stato decennali italiani (Btp) sono passati dal 4,82 al 5,83%. Lo spread su quelli tedeschi (Bund), considerati i più sicuri, si è allargato da 1,87 a 3,14 punti. Un anno fa il tasso era al 4,06% e lo spread all’1,38. Anche per la Spagna, che paga interessi più alti dei nostri, lo spread si è allargato, ma in misura minore. La stessa Francia, sempre molto vicina ai tassi tedeschi, ha avuto un piccolo allargamento di spread.
La vittoria referendaria dello scorso giugno è stata analizzata alternando spiegazioni congiunturali (la seconda spallata al governo Berlusconi dopo il tonfo delle amministrative), antropologiche (il rigetto da parte della maggioranza della popolazione del modello politico e culturale berlusconiano o di quello neoliberale) e “tecnologico-riduzionistiche” (la vittoria del web 2.0 contro l’establishment politico e mediatico, in analogia con le piazze degli indignados spagnoli o della Primavera araba).
«Il Mulino» ha scritto già dieci anni fa del declino economico dell’Italia. Il tema è tornato di attualità e ne darò una valutazione più approfondita nel numero della rivista che uscirà a fine estate. Perché occuparsene di nuovo? Perché ora come allora ci rendiamo conto che l’Italia frena mentre altri accelerano: non abbiamo più scuse. La crisi 2008-2009 è stata infatti grave per tutti i Paesi industriali, ma alcuni – a cominciare dalla Germania – hanno già superato quella crisi.