Sempre più la dimensione pubblica appare caratterizzata da una sorta di agitazione continua, cui non fa seguito, se non raramente, alcun segnale di cambiamento reale e di innovazione. «Faccio cose, vedo gente», sembra essere il motto dominante. Una sensazione sgradevole, opprimente, che caratterizza innanzitutto le istituzioni che dovrebbero garantire il buon funzionamento del sistema Paese. Se ne è avuta una dimostrazione anche nei giorni scorsi proprio all’interno del Parlamento, dove il gran movimento iconizzato meravigliosamente nel voto in corsa dell’onorevole Scilipoti si è tradotto in uno spettacolare e terribile vilipendio delle istituzioni. Di fatto, la conferma della paralisi. La conferma dell’impossibilità per le Camere di svolgere il ruolo legislativo loro assegnato dalla Carta costituzionale. Gli stessi moniti di Giorgio Napolitano hanno evidenziato questa sorta di immobilismo rissoso. E secondo molti gli incontri con i capigruppo altro non sono se non l’annuncio che il Parlamento può essere sciolto da un momento all’altro. Prerogativa del Capo dello Stato, non a caso.

Nel frattempo la cultura fasulla del «governo del fare» continua a mietere vittime. Mercoledì 6 aprile saranno trascorsi due anni dal terremoto abruzzese. Due anni durante i quali è iniziata a emergere una parte delle responsabilità. La Procura della Repubblica dell’Aquila ha aperto 215 fascicoli, di cui 15 sono procedimenti in corso che andranno a processo. Oltre alle inchieste che hanno coinvolto i vertici della Protezione Civile e dell’Istituto Nazionale di Vulcanologia e a quelle sulle infiltrazioni mafiose negli appalti per la ricostruzione.Per qualche giorno almeno, l’anniversario riporterà all’attenzione del pubblico l’Aquila e gli aquilani. Si tornerà a discutere dei fondi stanziati per la ricostruzione e dell’uso che ne è stato fatto sinora. Si ricorderanno i morti e si celebrerà l’ingiustizia subita dai feriti e dagli sfollati. Ma L’Aquila è ancora da ricostruire. Dopo l’emergenza, tutto pare essersi fermato. Come ha affermato ieri Antonio Cappelli, direttore di Confindustria, «la ricostruzione “pesante” non è neanche partita». E le casette con tv, frigorifero e champagne omaggio? Delle quasi 38.000 persone che ancora oggi sono assistite, 23.000 risiedono nei Moduli abitativi provvisori (vedremo quanto provvisori), in 19 «new town»; mentre circa 13.000 persone risultano beneficiarie del contributo di autonoma sistemazione (200 euro a persona ogni mese) e 1.300 sono ancora in strutture ricettive abruzzesi e nelle caserme.

Oltre alle celebrazioni, nei prossimi giorni vorremmo vedere e osservare, capire grazie alla potenza dei media quali sono i progetti per la ricostruzione, quella vera. Canale 5 qualche giorno fa ha regalato ai telespettatori il racconto di una finta sopravissuta: «tutti hanno le case […] solo 300 aquilani sono rimasti fuori e mangiano e bevono a spese dello Stato […] Dobbiamo ringraziare solo il presidente Berlusconi. Non ci ha fatto mancare niente, ha dato a tutti case con giardini, garage e tutti lavorano […] L’Aquila è in piena ricostruzione, sta tornando come prima […] «tutte le attività commerciali sono ricominciate, come e meglio di prima». Purtroppo era una brutta e penosa fiction, anche se, come sempre più spesso accade, spacciata e accettata da molti per realtà.

Poiché siamo un po’ ingenui, ma in fondo in fondo non vogliamo perdere del tutto la speranza, ci auguriamo che ora ci arrivi anche qualche racconto non fasullo. Qualche immagine dell’Aquila vera. Non tante, ce ne basta qualcuna. Che serva da freno, per qualche giorno almeno, ai fanfaroni ipercinetici e ai loro sodali. Che ci faccia dire, con sicurezza, che è proprio vero. Perché lo ha detto la televisione.