Il rapporto tra religione e marketing è un tema controverso e dibattuto, che tocca tanto i laici quanto i praticanti. A fianco di chi sostiene a gran voce che la fede sia questione di credenze personali e che mai si sporcherebbe nel fango dell’economia, c’è invece chi la incolpa di essersi piegata ormai da anni alle logiche di mercato.

Basti pensare all’esempio di Scientology, la religione delle star di Hollywood e dei grandi scandali, creata nel 1954 dallo scrittore di fantascienza Ron Hubbard. Fin dalle origini è possibile leggere un atteggiamento prettamente marketing-oriented: Hubbard decise infatti di trasformare i suoi centri di ricerca sulla psicoterapia in centri di culto, per usufruire dell’esenzione fiscale di cui questi godono negli Stati Uniti. Grazie a volontari molto attivi e a diverse collane di libri e riviste dalla grafica accattivante, oltre a un sito internet ricco di filmati, Scientology è riuscita a costruire la propria immagine seguendo i dettami del marketing più moderno e, nel bene e nel male, a essere sempre al centro dell’attenzione mediatica.

Non che le cose cambino sull’altro lato dell’oceano: in Giappone, per esempio, i nuovi movimenti religiosi fioriscono quasi quanto i modelli di consumo promossi dalla pubblicità. Kōfuku no Kagaku, fondato nel 1986 da Ōkawa Ryūhō, è un movimento il cui nome è tradotto in inglese come “Happy Science”, e la cui organizzazione sembra simile a quella di un’azienda. Ōkawa, infatti, si fa chiamare dai suoi fedeli shusai, presidente, piuttosto che kyoso, fondatore, e la struttura organizzativa presenta divisioni in sezioni e dipartimenti, ricalcando il modello prettamente verticale delle imprese nipponiche.

Kōfuku no Kagaku si è imposta a livello nazionale anche grazie alla massiccia presenza dei libri di Ōkawa sul mercato, lanciati da una campagna di marketing che non ha lasciato scoperto alcuno spazio mediatico, e dallo slogan “jidai wa ima, Kōfuku no Kagaku” (ora è il momento di Kōfuku no Kagaku). Già nei primi anni Novanta il movimento aveva ben chiari i suoi obiettivi: sono state infatti varate numerose iniziative, come il “Project Big Bang” e la “Wake-up Campaign”, finalizzate al raggiungimento di elevati traguardi numerici in termini di membership. Il marketing di Kōfuku no Kagaku trionfa però nell’esposizione mediatica del fondatore che, in occasione delle feste annuali del gruppo, si presenta come la reincarnazione della suprema divinità El Cantare, offrendo spettacoli grandiosi che prevedono le esibizioni artistiche sia di ospiti famosi sia di un gran numero di fedeli.

Tuttavia, non è sempre necessario cercare esempi nei più recenti movimenti religiosi per trovare felici unioni tra marketing e religione. Ritornando agli Stati Uniti, i pastori protestanti delle Megachiese più famose lavorano sulla propria immagine usando tecniche talvolta più vicine alla pubblicità che alla spiritualità. Bill Hybels, pastore della Chiesa di Willow Creek, e Rick Warren, pastore di Saddleback, hanno effettuato veri e propri sondaggi di mercato per individuare il target sul quale concentrare i propri sforzi di conversione.

Da Billy Graham in poi, gli Stati Uniti stanno assistendo a una massiccia presenza di programmi televisivi condotti da pastori, grazie alle capacità mediatiche di abili tele-evangelisti come Joel Osteen. Quest’ultimo è stato in grado non solo di coniugare il sacro e il profano in uno spettacolo di intrattenimento in cui parlare di Dio, ma anche di fare della propria immagine un vero e proprio marchio, da utilizzare nelle campagne di raccolta fondi o nella vendita dei suoi libri sul suo sito internet.

Senza guardare esclusivamente ai modelli consumistici americani o nipponici, va detto che anche nell’ambito del cattolicesimo, in Europa, esiste un fiorente mercato di oggettistica religiosa, dai gioielli fino all’abbigliamento. Il turismo religioso in luoghi di pellegrinaggio come Lourdes e Medjugorie (non a caso detta “Madonna del turismo”) permette di capire come effettivamente ruotino importanti interessi economici attorno a fenomeni di fede. È però nei grandi eventi di massa come la Giornata mondiale della Gioventù o il Giubileo del 2000 che l’impatto mediatico si è coniugato a vere e proprie campagne di marketing, mirate, grazie anche alla produzione di gadget e oggettistica, a fare della religione un marchio.

Marketing e religione sembrano essere quindi così trasversali da coprire, seppure con le debite differenze, sia i vecchi sia i nuovi movimenti religiosi. Ciò può dipendere dal fatto che il marketing è un processo sociale volto a influenzare un comportamento di consumo, a trasmettere messaggi, il che può essere associato ai meccanismi di conversione e diffusione della fede propri di molte confessioni. Almeno in qualche caso, la religione appare influenzata dai modelli di consumo e dall’avvento dei media nell’ultimo secolo.