L'altra sera, di passaggio per Firenze, sono andato a mangiarmi un gelato a Santa Maria Novella, in una delle piazze più belle del mondo. Ho attaccato discorso con il gelataio. È titolare da quarant’anni, e gestisce la gelateria assieme alla moglie e alla figlia. Nei mesi dormienti (da novembre a marzo) in tre sono sufficienti per portare avanti l’attività, ma fra aprile e ottobre debbono stipulare contratti a tempo determinato con una, due o anche tre persone. Questi collaboratori, per lavorare 8-10 ore al giorno, guadagnano fino a 1.500 euro netti al mese, con un giorno di riposo settimanale. Lavoro duro, quindi; ma ben pagato.

Sono trascorsi dieci anni da quando stipularono l’ultimo contratto con un italiano: da allora hanno impiegato solo lavoratori stranieri. Ho chiesto perché. La risposta è che i ragazzi italiani si tirano indietro quando sentono le condizioni di lavoro e il fatto che c’è un solo giorno di pausa ogni settimana. Eppure, in provincia di Firenze il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) sfiora il 30%. E la gelateria, a pochi metri dalla stazione dei treni, è raggiungibile facilmente da tutta Firenze e provincia. Evidentemente, molti di questi ragazzi possono permettersi di non lavorare. O mi sbaglio io?

Ho raccontato questo episodio su Facebook e immaginavo che il post non passasse inosservato, ma non che suscitasse un’esplosione di commenti: chi attacca i giovani fannulloni e choosy, chi il gelataio negriero, chi il senatore (cioè il sottoscritto) fuori dalla realtà della povera gente.

Ma io non volevo esprimere alcun giudizio di valore. Ho descritto un caso, non ho riportato risultati di ricerca, anche se a volte l’analisi di un caso aiuta a capire più di tanti numeri – come ci ha insegna Carlo Ginzburg con il mugnaio del Cinquecento ne Il formaggio e i vermi. Specialmente se il singolo episodio viene letto alla luce di anni di ricerche, per rispondere a domande semplici, ma dalle risposte complicate: gli stranieri ci rubano il lavoro? Gli stranieri abbassano il salario degli italiani? I giovani italiani sono più pelandroni dei loro genitori?

Volevo chiedere ai miei amici di Facebook di aiutarmi a comprendere qualcosa di molto specifico, ma che ha anche una valenza più generale. Peraltro, non è un fenomeno solo italiano: il mondo è pieno di realtà dove gli immigrati trovano lavoro in presenza di un tasso di disoccupazione elevato, anche se – a dire il vero – il nostro Paese si distingue per la capacità di attrarre stranieri (seppure meno di un tempo) in presenza di una disoccupazione giovanile veramente alta. Perché questo accade? Dare la colpa a giovani pigri, smidollati e schizzinosi è superficiale. Com’è superficiale dare la colpa ai datori di lavoro sfruttatori e negrieri.

Proviamo a vedere la faccenda dal lato dei giovani (e dei loro genitori). Gli economisti direbbero che gran parte dei giovani italiani hanno un «salario di riserva» molto elevato, ossia che possono permettersi di preferire la disoccupazione al lavoro se il lavoro è – rispetto alle loro aspettative – poco pagato, meno prestigioso, più faticoso (le tre «d»: dirty, dangerous and demeaning), in quanto garantiti dalla famiglia d’origine. Ciò accadeva in misura molto minore per la nostra generazione (io sono nato nel 1960) e in misura infinitamente minore per la generazione dei miei genitori. I giovani di oggi (e i loro genitori) hanno aspettative molto più elevate – il 75% di loro ha almeno il diploma superiore – e risorse familiari molto più alte, perché molti sono figli unici o hanno solo un fratello e appartengono a famiglie che non hanno particolari problemi a garantirgli un tenore di vita non inferiore a quello che aveva durante l’adolescenza.

Gran parte dei giovani italiani, dunque, per accettare di lavorare in gelateria a quelle condizioni di orario e stagionalità, dovrebbero essere pagati molto di più, oppure potrebbero accettare quella paga, ma con condizioni assai meno gravose. Perché vanno a farlo all’estero? Un po’ per moda, un po’ per spirito di avventura, un po’ perché effettivamente in alcuni Paesi le carriere sono più rapide e i giovani vengono meglio valorizzati. Dovremmo imparare da questo. Comunque anche all’estero raramente con questi lavori i ragazzi mettono da parte denaro, specialmente se vivono in aree urbane dove gli affitti sono molto alti. Ma le cose vanno viste anche dal punto di vista dei datori di lavoro e – più in generale – del sistema economico.

In tutto l’Occidente ci sono molti lavori con paghe e condizioni simili o peggiori (anche molto peggiori) rispetto a quelle della gelateria di Santa Maria Novella. Ciò accade anche in zone ben più ricche dell’Italia e con disoccupazione assai inferiore. In Germania – ad esempio – il mercato del lavoro è profondamente dualistico, e molti mini-job sono precari e malpagati. Lo stesso accade in Giappone e negli Stati Uniti. Ora, possiamo fare tutta la filosofia che vogliamo, ma la realtà è che tutti siamo contenti se possiamo pagare il nostro gelato a 2 euro (come io giovedì sera), i pomodori al supermercato a 2 euro al chilo, se non meno, un litro di latte a un euro e trenta, invece del doppio. E – con poche eccezioni – gli artigiani gelatieri, i coltivatori di pomodori e gli allevatori non diventano milionari. E un ottimo Servizio sanitario nazionale universale come il nostro ci sosta solo 2.000 euro a persona perché legioni di persone sono pagate 800, 1.000 euro o anche meno per fare le pulizie, lavorare nelle cucine, insomma svolgere i lavori delle tre «d». Se in tutta Italia si facesse la raccolta porta a porta (quella più avanzata ed ecologicamente corretta), ci vorrebbero 60 mila persone (1.000 per ogni abitante) che trascorrono 6 ore per notte a raccogliere i sacchetti: siamo disposti a raddoppiare la tassa delle immondizie per dare loro 2.000 euro invece dei 1.000 che ora guadagnano (scusate le cifre grossolane, ma di questi ordini di grandezza stiamo parlando)? Per non parlare del fatto che ci troviamo in un mercato aperto, dove ci sono a poche ore di volo dall’Italia centinaia di milioni di persone disposte a lavorare per paghe molto basse. E l’idea di chiudere le frontiere ai commerci è una pia illusione, anche perché se dai confini non passano le merci, prima o poi passano gli eserciti.

La combinazione fra l’attuale condizione giovanile e l’organizzazione del sistema economico ci aiuta a comprendere il paradosso di un Paese con il 40% di disoccupazione giovanile, ma che continua a creare lavoro per le badanti, i camerieri, i mungitori, i raccoglitori di frutta stranieri.

E quindi? E quindi non ci sono scorciatoie. Da un lato bisogna con pervicacia cercare di costruire buon lavoro in Italia: agricoltura di alto livello, manifatturiero di qualità, servizi alla persona di alto profilo ecc. Lavori che possano soddisfare alle aspettative di giovani che studiano (e dei loro genitori che li fanno studiare). Che però dovrebbero essere indirizzati verso studi più consoni ai lavori effettivamente disponibili, come dicono le preoccupanti statistiche sul mismatch fra carriere scolastiche dei nostri giovani ed effettiva richiesta del mercato. Gli interventi del governo per favorire l’alternanza scuola-lavoro vanno nella giusta direzione – e nell’ultima legge di bilancio gli sgravi d’imposta sono stati concentrati su quei datori di lavoro che assumo giovani che abbiano fatto l’alternanza scuola-lavoro nella loro impresa.

D’altro canto, dobbiamo essere consapevoli che anche nel prossimo futuro continueremo ad aver bisogno di migliaia di persone che svolgeranno lavori meno prestigiosi (forse), ma indispensabili (certamente) per la nostra organizzazione sociale. Molti di questi lavori li faranno giovani stranieri, e questo – per inciso – non potrà che giovare alla nostra struttura demografica, che senza immigrazioni, nel prossimo ventennio perderebbe 250 mila potenziali lavoratori ogni anno. Giovani stranieri che – come spesso accade – potranno migliorare rapidamente la loro condizione socioeconomica, perché dotati di un divorante desiderio di farsi strada nella vita. Tuttavia, come accadeva e in parte accade anche ora in Italia, molti di questi lavori possono essere fatti anche part-time da giovani studenti, da adulti non interessati a un lavoro full-time, da pensionati che vogliono integrare. Si tratta di avere possibilità di contratti di lavoro che non sfruttino le persone, ma nello stesso tempo permettano la giusta flessibilità.

Concludo su un punto un po’ più «politico». Quanti propongono il reddito di cittadinanza non hanno ancora spiegato in modo convincente perché una persona ben pagata anche senza lavorare dovrebbe darsi da fare per cercare lavoro. Il salario di riserva di molti giovani italiani è già alto, così rischierebbe di diventare altissimo. Io continuo ad essere affezionato all’articolo 1 delle nostra Costituzione. Il lavoro dà dignità e
cittadinanza, il reddito è solo un delle conseguenze del lavoro. Proteggiamo con i giusti interventi di redistribuzione i poveri, i disabili, i bambini, i disoccupati a bassa occupabilità. Ma, per favore, non facciamo proposte economicamente insostenibili, e socialmente ed eticamente sbagliate.