Rush finale per la Casa Bianca. Il terzo e ultimo dibattito presidenziale arriva in uno dei momenti di maggior divario, nei sondaggi, tra i candidati dei due partiti maggiori. Il crollo della popolarità di Donald Trump, che ha fatto seguito alle ultime rivelazioni sul suo passato e alle uscite infelici nel secondo confronto televisivo, ha dato forza alla candidatura di Hillary Clinton, che l’8 novembre potrebbe potenzialmente conquistare tutti gli Stati della costa orientale, dal Maine alla Florida, inclusi South Carolina e Georgia dove il distacco tra i due si è assottigliato di molto rispetto alla recente tradizione. La situazione è sorprendentemente aperta anche in altri deep red State (le roccaforti repubblicane) come lo Utah – lo Stato dell’ex agente della Cia Evan McMullin, candidato indipendente che sembra attrarre molti voti dai repubblicani più moderati – e addirittura il Texas, dove i democratici non vincono dai tempi dell’elezione di Jimmy Carter e dove oggi Donald Trump (secondo la media dei sondaggi degli ultimi giorni) sarebbe avanti di pochi punti percentuali.

Per la prima volta un dibattito è stato ospitato dall’Università di Las Vegas, Nevada, uno Stato che, dalle elezioni del 1980 a oggi, ha sempre premiato il candidato poi eletto come presidente, a prescindere dal partito di riferimento. Inedita è anche la conduzione, affidata a un giornalista di Fox, emittente notoriamente schierata su posizioni conservative. Il presentatore di «Fox News Sunday», Chris Wallace, risulta però ufficialmente registrato come elettore democratico dal 2006 e ha già dimostrato la sua equidistanza con un atteggiamento molto severo e rigoroso in due popolari interviste a Barack Obama e a Hillary Clinton e, in occasione del dibattito tra i candidati repubblicani del 3 marzo scorso, nelle domande a Donald Trump. Anche grazie alla sua conduzione il terzo dibattito è risultato il meno spettacolare, ma certamente quello più incentrato sulla sostanza delle politiche proposte dai due candidati, con un ventaglio di domande e di temi molto ampio, a partire dalle grandi social issue legate alle decisioni della Corte suprema.

Nella prima mezz’ora Donald Trump è riuscito a vestire alla perfezione i panni del candidato repubblicano tradizionale, in grado di accontentare tutte le componenti di un partito sempre più diviso: il diritto al possesso di armi protetto dal Secondo emendamento, la necessità di superare la sentenza Roe vs. Wade che rende legittimo l’aborto, i controlli alle frontiere e il blocco all’immigrazione, senza mai alzare i toni e con poche invettive dirette alla sua avversaria.

Dal canto suo Hillary Clinton si è presentata ancora una volta in assoluta continuità con i due mandati Obama. Ha toccato con sicurezza tutti i temi cari in maniera traversale alla base democratica, dai diritti fondamentali al controllo delle armi, dal lavoro al tema della regolarizzazione degli undici milioni di immigrati irregolari che vivono e lavorano negli Stati Uniti, tendendo la mano alle correnti più liberal che hanno sostenuto il suo principale rivale nelle primarie democratiche, facendo riferimento al nuovo piano sull’università che porterà avanti insieme a Bernie Sanders. Né ha rinunciato a provocare il suo rivale per farlo innervosire, quando ha alluso al feeling tra Donald Trump e Vladimir Putin, visto che 17 agenzie federali confermano l’esistenza nei confini americani di operazioni di hackeraggio e spionaggio informatico dirette da Mosca. Secondo l’ex first lady, il legame tra Trump e Putin sarebbe dettato dalle speranze di Mosca di trasformare gli Stati Uniti in un Paese fantoccio filo-russo.

Il magnate newyorchese ha abbandonato presto i toni istituzionali negando di conoscere Putin (pur ammettendo che questi ha un certo appeal rispetto a quello della candidata democratica) e cercando di recuperare terreno sul tema della lotta comune di Russia e Stati Uniti all’Isis. Trump ha indugiato poi sul tema del lavoro, in particolare sulla necessità di rinegoziare gli accordi commerciali Nafta voluti da Bill Clinton per riportare posti di lavoro e aziende in patria (una dei temi su cui era sembrato più convincente nel primo dibattito). Quindi ha accusato Hillary Clinton di aver espresso pubblicamente il «sogno di un mercato comune emisferico senza barriere doganali né confini» in occasione di un discorso tenuto davanti ai vertici di una banca brasiliana, per un compenso di 225mila dollari, come emergerebbe – sempre secondo Trump – dai documenti pubblicati da Wikileaks.

Wallace ha incalzato poi la candidata democratica, chiedendo a Hillary Clinton se effettivamente avesse mai manifestato questo obiettivo, ma l’ex segretario di Stato è riuscita a divincolarsi parlando della necessità – intravista a quei tempi e attuale ancora oggi – di abbattere le frontiere dal punto di vista energetico per un sistema integrato tra Nord e Sud America.

La discussione non è scivolata mai in scambi di accuse personali grazie alla conduzione, che ha cercato di stemperare le tensioni che erano prevalse nel secondo dibattito. Non sono mancate del resto le accuse di Donald Trump a una «donna cattiva» e «bugiarda», né i riferimenti di Hillary Clinton al sessismo dell’avversario e alle denunce di molestie emerse nelle ultime settimane.

Quando Wallace ha chiesto invece a Donald Trump se in caso di sconfitta riconoscerà subito come da tradizione la vittoria dell’avversaria, il candidato repubblicano non ha risposto in maniera chiara, incappando in uno scivolone che potrebbe costargli ulteriore credito politico in vista delle elezioni.

Nel primo sondaggio di Cnn di oggi, il 52% degli intervistati pensa che sia stata ancora una volta Hillary Clinton a prevalere, come già successo nei due precedenti confronti, mentre solo il 39% ritiene abbia vinto Trump.

Dopo il dibattito di St. Louis dell’11 ottobre scorso, le possibilità di vittoria finale di Hillary Clinton, sulla base della media dei principali sondaggi, erano salite all’82%. Oggi, a meno di venti giorni dal martedì più importante di novembre, si sono ulteriormente consolidate fino a raggiungere l’87%, con un distacco di circa sei punti su base nazionale e un numero di grandi elettori previsti che supera i 340, settanta in più dei necessari per l’elezione alla Casa Bianca.