La crisi del socialismo spagnolo dopo le elezioni nei Paesi baschi e in Galizia. Il partito socialista spagnolo (Psoe) è lacerato come non avveniva dalla metà degli anni Trenta del Novecento e conosce una crisi più profonda di quella che visse nei primissimi anni Settanta, quando lo scontro tra la direzione dell’esilio (Rodolfo Llopis) e quella interna si risolse con l’affermazione di quest’ultima e l’ascesa di Felipe González alla guida del partito. A differenza dei due precedenti storici, però, il Psoe si trova da alcuni anni in caduta verticale, ridotto ora ai minimi termini dopo le sonore sconfitte del 2011, 2015 e nelle elezioni di varie Comunità autonome. Proprio da quelle che si sono svolte nei Paesi Baschi e in Galizia domenica 25 settembre si attenevano segnali sulla tenuta della leadership del segretario socialista, Pedro Sánchez, e sul possibile sblocco dell’impasse che, dopo la ripetizione delle elezioni politiche il 26 giugno (le precedenti, alla scadenza naturale della legislatura, si erano svolte il 20 dicembre 2015), vede ancora il Paese iberico privo di un governo.

Aperte le urne e conosciuto l’esito del voto, la situazione in casa socialista è andata precipitando in modo convulso per toccare il fondo la sera di sabato 1 ottobre con le dimissioni del segretario socialista.

Ma andiamo per ordine e ricostruiamo i passaggi che precedono l’epilogo.

Nei Paesi baschi il Partito nazionalista basco (Pnv) ha ottenuto 28 seggi (ne aveva conquistati 27 nel 2012). Il nazionalismo indipendentista della coalizione Eh-Bildu ne ha ottenuti 18 (a fronte dei 21 delle elezioni precedenti), Podemos 11 (non era presente nel 2012), i socialisti 9 (ne avevano 16), come i popolari (Pp), che ne avevano 10.

In Galizia, tradizionale roccaforte popolare, il Pp ha conquistato per la terza volta di seguito la maggioranza assoluta confermando i 41 seggi che aveva, il Psoe è sceso da 18 a 14, En Marea (versione galiziana di Podemos) 14 e i nazionalisti del Bloque nacional gallego 6, dai 7 che avevano.

I numeri hanno dunque parlato chiaro: a uscire sconfitto per l’ennesima volta è stato il Psoe.

A questo punto le pressioni su Pedro Sánchez da parte di alcuni settori socialisti legati ai poteri territoriali (con in testa l’Andalusia e la sua presidentessa Susana Díaz, aspirante alla leadership del partito) e di un riapparso Felipe González, alimentate da una insistente e anche un po’ sguaiata campagna de «El País» (che nell’editoriale del 29 settembre ha definito Sánchez «insensato e privo di scrupoli») sono diventate insostenibili. Attribuendo la sconfitta alla linea del segretario, favorevole a un governo di alternativa con Podemos e Ciudadanos, le pressioni avevano lo scopo di convincere Sánchez a consentire, con l’astensione, il varo di un nuovo governo Rajoy. Sánchez non c’è stato e ha proposto di appellarsi alla base, indire primarie per il 23 ottobre e svolgere un congresso in novembre. A questo punto, mercoledì 28 settembre, 17 membri della direzione (Comisión Ejecutiva) del partito si sono dimessi, gettando il partito nel caos. Non ultimo per la guerra che si è subito scatenata sulle interpretazioni dello statuto del partito, le cui norme al riguardo della situazione apertasi si sono rivelate poco chiare. Sono volate accuse e parole irripetibili, poi, alla fine, a dirimere il conflitto sono stati chiamati i 270 componenti del Comitato federale. Riuniti dalla mattina alla sera il 1 ottobre, mentre fuori della sede socialista decine di militanti manifestavano con veemenza il loro sostegno a Sánchez al grido di «No è No» (a un governo Rajoy), i dirigenti hanno votato in 102 a favore e in 132 contro il segretario, il quale un istante dopo ha rassegnato le dimissioni. Senza per altro escludere o affermare di tornare a presentarsi alle prossime primarie.

A guidare il partito fino al prossimo congresso sarà una commissione di dieci membri (Comisión Gestora), capeggiata dal presidente della Comunità autonoma delle Asturie, Javier Fernández. A questa commissione il compito di convocare ora un nuovo Comitato federale, che dovrà prendere la decisione in merito all’atteggiamento che i deputati socialisti dovranno assumere di fronte all’investitura di Rajoy.

Esposti i fatti, è possibile farli seguire da alcune considerazioni.

La prima riguarda la crisi del socialismo spagnolo, che s’inserisce nel declino della socialdemocrazia europea, come testimoniano Grecia, Austria e Germania, per non dire del laburismo britannico. Un declino che è a un tempo identitario, di rappresentanza e di progettualità, dal quale non si vedono vie d’uscita.

La seconda riguarda il delicato passaggio che il Psoe si accinge a compiere dando via libera al governo Rajoy. Se questo sarà l’esito del prossimo Comitato federale, com’è probabile, esso avverrà in assenza di leadership e sarà percepito come una resa da gran parte dei militanti e degli elettori socialisti. Sánchez ha commesso senz’altro degli errori, ma le sue scelte erano tese a frenare l’emorragia di voti verso sinistra. Non altrettanto può dirsi dei sostenitori dell’astensione di fronte all’investitura di Rajoy che sembrano inconsapevoli delle praterie che la loro decisione spalancherà a Podemos. Ma soprattutto che sembrano vivere in una Spagna che non c’è più, quando i partiti che contavano erano due e l’alternanza funzionava come un orologio.

La terza considerazione riguarda il manico del coltello che, mai come in passato, è ora nelle mani di Rajoy. Il quale, non solo potrà contare sull’astensione dei deputati socialisti alla sua investitura, ma anche sul loro atteggiamento accomodante nel corso della legislatura, con la minaccia di un ricorso alle urne che vedrebbe con molta probabilità la maggioranza assoluta dei voti finire ai popolari e il sorpasso di Podemos sul Psoe.

L’attuale congiuntura non si comprenderebbe, infine, senza tener conto di un altro fattore. I nazionalisti catalani chiedono da tempo un referendum per l’autoderminazione. Il presidente della Genaralitat, Carles Puigdemont, ha appena annunciato che in assenza di un patto con Madrid esso sarà convocato unilateralmente entro la fine del 2017. Pp, Psoe e Ciudadanos sono da sempre contrari, Podemos a favore. Settori influenti del Psoe hanno impedito a Sánchez di allearsi con Podemos a causa dell’atteggiamento di quest’ultimo sul referendum catalano. Per l’ennesima volta la questione dei nazionalismi agita la politica spagnola, influendovi pesantemente.

Stando così le cose – ridotte all’osso e crisi socialista a parte – le notizie sono tre: gli spagnoli non saranno chiamati al voto per la terza volta in un anno, Rajoy formerà il nuovo governo, nessuno dei problemi spagnoli ha trovato soluzione.