Lo scorso 3 giugno, alla presenza del presidente della Repubblica Mattarella, è stato inaugurato all’isola di Lampedusa il Museo della Fiducia e del dialogo per il Mediterraneo. La nuova esposizione è nata sulla base di un progetto, a cura di Giacinto Palladino e Alessandro de Lisi con Valerio Cataldi, che vede insieme il Comune di Lampedusa e Linosa, il Comitato 3 ottobre, il Mibact, la Rai, la Regione Sicilia, la sovrintendenza di Agrigento, il ministero della Cultura della Tunisia, l’Istituto nazionale del Patrimonio della Tunisia, l’Istituto Italiano di Cultura di Tunisi.

Tra le opere presenti nel primo nucleo espositivo, alcune provenienti dal museo del Bardo di Tunisi – noto ormai al mondo intero in seguito all’attentato del 18 marzo 2015 – tra cui una importante maschera punica.

All’inaugurazione era presente anche il direttore del Bardo, Moncef Ben Moussa, che in questa breve intervista ripercorre i motivi del coinvolgimento del museo tunisino.

D: Direttore, la prima domanda che vorremmo porle riguarda l’opera che avete portato qui e le ragioni di questa scelta. Di che cosa si tratta?

R: L’opera inviata qui a Lampedusa dal Bardo, che ha avuto l’onore di partecipare a questo progetto che è il Museo della Fiducia e del dialogo per il Mediterraneo, è una maschera femminile di età punica, databile tra la fine del VI secolo a.C. e l’inizio del V secolo. Si tratta di un pezzo molto particolare, perché è stata lavorata e prodotta proprio in un momento delicato e importante della storia di Roma e di Cartagine, più o meno nel momento in cui veniva firmato il primo trattato di pace. Ma, anche al di là delle ragioni prettamente storiche, la particolarità di questa maschera risiede nel suo sorriso e nelle sue caratteristiche decorative: è un volto sorridente che invita ad andare verso gli altri, che accoglie gli altri.

D: Si potrebbe quindi dire che anche questa maschera si inserisce in una iniziativa come questa, che intende portare Lampedusa al centro del Mediterraneo ma anche fare in modo che il focus sia il Mediterraneo, gli scambi, la solidarietà, i ponti fra i popoli.

R: Assolutamente sì, perché Lampedusa è stata da sempre un luogo di approdo per i popoli che vivevano attorno al Mediterraneo, che viaggiavano nel Mediterraneo, che andavano verso gli altri nel Mediterraneo ma anche che chiamavano gli altri a venire qui per accoglierli. È un messaggio da dare anche al resto del mondo: noi siamo plurimi, siamo vari, ma insieme formiamo un unico mosaico di colori, di religioni, di culture. Ognuno con la sua parte deve partecipare per svolgere la funzione di piccolo tassello, con il suo «colore» specifico in un mosaico molto vario. Oggi non possiamo fare a meno di iniziative del genere: oggi l’arte è sempre più un mezzo di comunicazione universale, un messaggio da rivolgere a tutti gli altri, che ci mostra come dobbiamo essere uniti, fiduciosi gli uni verso gli altri, aperti verso gli altri. Non si tratta di costruire barriere, tutt’altro.

D: I simboli sono importanti.

R: Certo, i simboli sono molto importanti.

D: All’esposizione ci sono anche disegni di bambini che hanno attraversato il Mediterraneo. Si vedono, ad esempio, alcuni disegni in cui la presenza dell’Isis e dei terroristi è chiara. Come vanno le cose nel vostro Paese? Anche al Bardo, da punti di vista anche dell’afflusso delle persone che è così importante per l’economia?

R: Sì, sono presenti disegni di bambini siriani, che quindi raccontano una realtà che stanno vivendo in questo momento storico drammatico. Da una parte mandano un messaggio fortissimo al resto del mondo. Dall’altra parte, va ricordato come l’Isis, che individuò il museo del Bardo come bersaglio, attaccò un simbolo della cultura tunisina e mediterranea. Perché se venite al Bardo non vi troverete soltanto la cultura tunisina, bensì la cultura nel senso più pieno, universale, ricca di valori e di principi universali condivisi fra i popoli del Mediterraneo.

D: Anche nel caso dell’attacco del 18 marzo 2015 si può dire che hanno scelto di colpire un simbolo.

R: Sì, anche in quel caso venne attaccato un simbolo da parte di questi terroristi, fanatici ed estremisti. Purtroppo oggi stiamo vivendo un momento difficile per quel che riguarda l’affluenza al nostro museo, perché la maggior parte dei visitatori che venivano prima dell’attacco terroristico, in molti casi cittadini di altri Paesi, oggi non lo fanno più. E purtroppo questo è proprio l’obiettivo voluto dai terroristi dell’Isis.

D: Iniziative come quella del nuovo museo che si inaugura a Lampedusa, quindi, come tante altre analoghe che speriamo di vedere in futuro, servono anche a combattere un certo tipo di retorica.

R: Esatto. Un’iniziativa del genere è un’arma: ma un’arma pacifica, con cui si possono combattere sia l’estremismo, sia l’atteggiamento di trincerarsi dietro una barriera o di mettersi dietro le armi, dietro le bombe, per combattere con questi mezzi terribili. Aprire luoghi di dialogo e di incontro tra culture come questo significa dimostrare nei fatti che il terrorismo e il fanatismo si possono combattere con la cultura.

 

[Questa intervista è stata realizzata nell'ambito del lavoro di Radio Città del Capo]