Un voto in trincea. L’argine repubblicano francese ha tenuto e a farne le spese è stato il Front national. Per lui le elezioni si succedono ma si assomigliano tutte, lasciando invariabilmente dietro di sé un retrogusto amaro. Come era avvenuto alla dipartimentali dello scorso marzo, il partito guidato da Marine Le Pen ha provocato un terremoto al primo turno delle regionali, piazzandosi al primo posto in sei regioni su tredici e confermandosi primo partito nazionale (con quasi il 28% dei voti). Una settimana dopo tuttavia il bottino è magro: il Front torna a casa a mani vuote, mentre la destra repubblicana conquista sette regioni (tra cui l’Ile de France), la sinistra cinque e i nazionalisti s’impongono in Corsica.

Lo sbarramento repubblicano, tradizionale riflesso difensivo dei partiti di governo francesi per emarginare le forze (o i candidati, come era avvenuto al secondo turno delle presidenziali del 2002 contro Jean-Marie Le Pen) ritenute antisistema ha retto e si è tradotto anzitutto in un massiccio ritorno alle urne. Se l’aumento di votanti tra i due turni delle regionali non è una novità, questa volta l’incremento è stato doppio rispetto alle ultime consultazioni (nel 2004 dal 60,8% del primo si era arrivati al 65,7% del secondo; nel 2010 dal 46,3% al 51,2%) passando dal 49,9% del primo turno al 58,5% del secondo.

Frenato dall’impossibilità di stringere – al pari dei suoi rivali - preziose alleanze al secondo turno, il Fn si è dovuto piegare dappertutto, soprattutto nei feudi che lo avevano incoronato al primo: in Nord-Pas-de-Calais-Picardie e in Paca, Marine Le Pen e la nipote Marion Maréchal-LePen si sono inclinate ai candidati della destra, Xavier Bertrand e Christian Estrosi (complice il ritiro in chiave antifrontista dei candidati socialisti). Nell’Est, Florian Philippot è stato battuto nettamente in un triangolare, dal candidato di destra, Philippe Richert. Una sconfitta paradossale per la prima formazione politica francese, che realizza il miglior risultato della propria storia in termini di voti e triplica il numero di consiglieri regionali, passando dai 118 eletti nel 2010 ai 358 attuali.

A tirare un sospiro di sollievo sono i due partiti di governo. I socialisti possono rivendicare tre motivi di soddisfazione. Per la prima volta dopo le municipali, le europee e le dipartimentali, il Ps non subisce una batosta senza appello in elezioni intermedie. In secondo luogo la strategia di unità con gli ecologisti e il Front de gauche (in otto regioni) ha pagato, ha arginato il voto sanzione e ha permesso di portare a casa cinque regioni: un esito del tutto insperato appena poche settimane fa. Infine, la strategia di desistenza repubblicana, votata all’unanimità dai vertici del Ps tra i due turni, ha funzionato nelle due regioni in cui si presentavano Marine Le Pen e la nipote.

La destra porta a casa sette regioni, tra cui l’Île-de-France, riconquistata da Valérie Pécresse dopo diciassette anni di guida socialista. Un risultato che concede un po’ di respiro a Nicolas Sarkozy, che all’indomani del primo turno non aveva visto messa in discussione solo la sua linea politica – costruita sulla capacità di arginare il Fn – ma anche la propria capacità di leadership. Al punto che i principali capilista – Xavier Bertrand, Valérie Pécresse e Christian Estrosi (tutti suoi ex ministri) – hanno preferito mantenere le distanze dall’ex presidente negli eventi pubblici, come se il suo stile e i suoi slogan fossero sgraditi. Nel 2007 il leader dell’Ump galvanizzava i militanti e federava il partito: nel 2015 divide il proprio campo e trova in Alain Juppé un rivale solido e credibile in vista delle primarie del novembre 2016 (la candidatura di François Fillon appare meno quotata).

La tenuta del fronte repubblicano non può nascondere gli elementi emersi con forza da questa tornata regionale. A partire dalla solidità del Front National che, forte di 6,8 milioni di voti, supera il record registrato in occasione del primo turno delle presidenziali del 2012 (6,4 milioni di voti, ma con un numero di votanti decisamente superiore) e dimostra il proprio radicamento nel Paese. Primo alle europee del 2014 e alle dipartimentali del marzo 2015, il Fn ha riconfermato in occasione delle regionali la dinamica in continua ascesa che si è determinata a partire dall’uscita di scena di Jean-Marie Le Pen. Il Fn esce cioè in ottima salute dall’ultima consultazione importante prima della madre di tutte le battaglie elettorali in Francia, le presidenziali, in vista delle quali Marine Le Pen pare l’unico candidato in grado di riservare con anticipo un posto in vista del secondo turno. Contemporaneamente gli elementi di fragilità dei due partiti di governo emergono nitidamente. La popolarità di Hollande (+22 punti nell’ultimo mese) è evidentemente dopata dagli attentati di Parigi e non durerà a lungo, il Ps non può festeggiare per il ruolo da ancella della destra in chiave anti-frontista ma, soprattutto, deve individuare una linea politica in vista del 2017, scegliendo tra una strategia di unità a sinistra e il perseguimento delle riforme governative annunciate. Contemporaneamente la destra si appresta a una lunga corsa per la leadership che rischia di trasformarsi in una logorante e sanguinosa guerra fratricida. E così l’unico partito in grado di programmare per tempo la campagna presidenziale del 2017 è il Fn, il cui isolamento politico non può nascondere la penetrazione delle sue idee e la sua capacità di imporre l’agenda a partiti di governo disorientati dal sovrapporsi di crisi - disoccupazione, migranti ed emergenza terroristica - di fronte alle quali l’unica risposta che socialisti e repubblicani paiono in grado di fornire è un riflesso automatico di difesa, purtroppo svuotato di reale progettualità politica.