Giano nel cuore dell'Europa. La complessità del Paese tedesco è spesso messa in ombra dall’efficienza a cui esso sembra avere consegnato il proprio compito nell’Europa post-bellica. Ammirata e maledetta, al tempo stesso, per chi la guarda da fuori. A questa efficienza, alla massimizzazione della prestazione, i tedeschi vengono istruiti e addestrati fin da bambini attraverso la struttura del sistema scolastico, dove, oramai, i percorsi di apprendimento sono sempre più determinati dalla loro spendibilità e rendita rispetto all’ingresso nel mercato del lavoro. Come se il cittadino tedesco nascesse davvero solo nel giorno in cui le sue prestazioni e competenze si fanno monetizzabili. Il limite sembra non essere ammesso fin dai giorni della culla. Non riusciremmo a comprendere culturalmente il caso Volkswagen, se non cogliamo questa ossessione civile all’incremento algebrico della prestazione che non sopporta alcun limite e arresto. L’insofferenza, ma anche il senso di impotenza, davanti alla macchina antropologica del Paese da parte dei ceti più giovani rischia di rimanere una risorsa inascoltata.

Eppure è lì, a disposizione di tutti. Basta un nulla per liberarne la virtuosità. Se guardiamo ai volti dei volontari e delle organizzazioni civili che si sono mobilitati davanti all’emergenza profughi in questi mesi, scorgiamo la possibilità di una Germania altra: più cordiale verso una condivisione effettiva non solo con i fallimenti di sistemi statali collocati in un lontano altrove, ma anche con le ferite che questa umanità in transito porta con sé. L’energia morale che le generazioni più giovani della società civile tedesca hanno messo in circolo in questi mesi rappresenta non solo un bene prezioso, ma anche una forma di resistenza all’impero della prestazione a ogni costo che governa l’anima del Paese.

In una nazione dove il principio di istituzionalizzazione è la garanzia, data in primo luogo a se stessa, di essere altro dai fantasmi della propria storia, questo bacino di risorse morali della società civile rischia non solo di andare disperso, ma viene sentito dalla politica delle istituzioni come qualcosa di sostanzialmente instabile su cui non si può fare poi più di tanto affidamento. In questo, la fiducia che Angela Merkel ha concesso allo slancio e alla tenuta morale delle generazioni più giovani si scontra contro il pragmatismo a breve termine delle politiche interne dei Länder. Da un lato l’intuizione di una nuova figura e ruolo della Germania quale crocevia dell’Europa; dall’altro la preoccupazione per un’idea di ordine immediatamente funzionale alla salvaguardia di privilegi immunitari a garanzia di ritorni elettorali a breve termine.

Il radicalismo di destra, con una serie impressionante di attacchi e attentati ai luoghi in cui risiedono provvisoriamente i profughi (più di 500 da inizio 2015), offre la legittimazione politica per la dismissione a quantité négligeable delle risorse morali di cui la Germania si è improvvisamente accorta di essere capace. Essendo l’emergere di un Paese che la Germania non può più essere, esso può venire manipolato a piacere per giustificare la chiusura della Repubblica federale su se stessa. L’interdetto del passato funziona diabolicamente come ingiunzione che impedisce una virtuosa circolazione interna delle energie migliori che stanno sorgendo: quelle che potrebbero portare la Germania verso un modo nuovo di abitare il cuore dell’Europa.

Nel suo piccolo questo estremismo di destra, violento, xenofobo, senza cultura, tutto al maschile, rappresenta anche un grande non detto della Germania post-unificazione. La sua prevalente concentrazione nei territori della ex Ddr, mostra quello che essa non è ancora riuscita a fare: guardare a se stessa non solo a partire dalla propria efficienza, dall’ordine e pulizia delle cose, dalla forza esterna del sistema che ha messo a presidio della irripetibilità del proprio passato recente. Se divenisse consapevole di queste ferite che attraversano il suo corpo, la Germania potrebbe politicamente attingere a quelle forze morali che stanno circolando in essa e farle diventare il principio civile di una maggiore disponibilità di condivisione all’interno dell’Europa.