Se il passato è pessimo, il futuro dell’Europa si annuncia come un incubo. Prendiamo il progetto di riforma dell’Unione europea, Completing Europe’s Economic and Monetary Union, dei “magnifici cinque”: Juncker, Tusk, Dijsselbloem, Draghi e Schulz. Se fissiamo i punti essenziali di questo progetto di riforma, al netto delle solite e note litanie su prosperità, sviluppo economico e piena occupazione, la finalità è quella di migliorare l’attuale governance europea, mentre i singoli Paesi devono gettare le basi di un sostenibile ed efficiente bilancio pubblico. Un passaggio del report sottolinea che le politiche fiscali nazionali sono vitali per stabilizzare gli shock economici e per reagire velocemente alle crisi. In altri termini, la Ue determina vincoli e limiti, gli Stati devono rispondere alla crisi. Con quali strumenti? Non certo quelli di governo della moneta, ovvio, ma neppure quelli di bilancio. Nella visione dei “cinque”, mai una parola su fisco e bilancio europeo federale. Rimangono solo le politiche di offerta strutturali di svalutazione del lavoro. La futura politica economica europea immaginata dai “magnifici cinque” è, per assurdo, persino peggio di quella che stiamo sperimentando oggi. Non sorprende, allora, l’atteggiamento della Troika nel caso greco: il suo ruolo è di dettare le modalità per il rispetto del “rigore”, non certo di realizzare una politica economica per un’uscita dalla crisi.

Molti a sinistra considerano il recente comportamento delle istituzioni europee come un attentato al governo ellenico in carica da cinque mesi. C’è del vero, ma il gioco giocato e le eventuali ripercussioni travalicano la sconfitta o meno del governo in carica. In realtà è l’assenza di una giusta politica economica europea a consegnarci questa drammatica situazione. C’è un problema di democrazia che non ha precedenti ed è paradossale che i partiti di centrosinistra abbiano rinunciato ai loro valori fondativi sull’altare del dio mercato. Paul Krugman giustamente osserva che, “da un punto di vista politico, i grandi perdenti di questa dinamica sono stati i partiti di centrosinistra, la cui acquiescenza in fase di rigorosa austerità – e il conseguente abbandono di quei valori per i quali avrebbero presumibilmente dovuto battersi – produce danni ben più gravi di quelli che politiche analoghe mietono nel centrodestra”.

La Grecia necessita di riforme di struttura enormi, e nessuno confonda riforme di struttura con riforme strutturali che la Troika continua ottusamente a voler imporre. Sarebbe un errore imperdonabile. La Grecia deve ammodernare la pubblica amministrazione, il sistema di tassazione e la raccolta delle tasse, costruire un meccanismo coerente di lotta alla corruzione e all’elusione/evasione fiscale, trasformare l’industria turistica in un’industria di sistema, ri-costruire una parte della propria struttura produttiva e strutturare un sistema logistico adeguato per valorizzare il suo ruolo di Paese che si affaccia sul Mediterraneo. Sono tutti interventi che dovevano essere fatti fin dal 2001, ma la classe politica che ha governato da allora non ha utilizzato i margini di deficit dei cosiddetti conti truccati per strutturare un’economia europea, ha preferito fare nel 2004 le Olimpiadi. È pura ipocrisia immaginare che l’attuale governo greco possa in cinque mesi rivoluzionare il Paese, dopo che, a causa soprattutto delle politiche errate della Troika, ha perso il 25% di Pil e maturato una povertà che in qualsiasi altro Paese sarebbe insopportabile.

Alla fine vogliamo che la Grecia possa sostenere il proprio debito o desideriamo riavere indietro i soldi del debito pregresso? L’una e l’altra soluzione rispondono a politiche economiche profondamente diverse. Perseverando nell’austerità gli Stati europei non possono rispondere alla crisi, ma produrranno effetti di impoverimento progressivo e, inevitabilmente, il fallimento del progetto europeo. I duri comportamenti delle istituzioni non fanno però i conti con la complessità del sistema economico. Il primo e non banale nodo é legato alle banche greche. Esse sono parte integrante del sistema creditizio europeo. Pensiamo di superarle senza che il sistema creditizio nel suo insieme patisca conseguenze? Cosa dobbiamo aspettarci dalle banche centrali di altri Paesi che hanno come riserva anche quote non piccole di euro? Qualcuno gioca con il fuoco, per obiettivi che si svelano politici. Osserva Joseph Stiglitz: “La vera natura dell’attuale disputa riguarda il potere e la democrazia, molto più che la moneta e l’economia”.

Ma l’aspetto più pericoloso è un altro. I ministri delle Finanze europei pensano che l’attuale situazione possa essere gestita. Sono stati creati nuovi strumenti e con questi credono di contenere un eventuale attacco speculativo. Sono convinti che un’Europa più omogenea con l'esclusione di alcuni membri sia valutata dai mercati finanziari in modo migliore rispetto a un’Europa poco omogenea. Se accade qualcosa il quantitative easing sarà velocizzato; se manca liquidità si troveranno gli strumenti per alimentarla. In questa logica però la salvezza dell’euro passa dalle convenienze che hanno gli speculatori in questa Europa, e non certo da una politica economica europea. Così l’Europa non è protagonista del suo futuro ma ostaggio dei mercati e degli speculatori, grande esempio di tecnocrazia al potere.