Le librerie chiudono, i libri non si vendono. Tra le cose che l’Associazione italiana editori (Aie) si è inventata per metterci una pezza c’è #ioleggoperché, “una grande iniziativa nazionale di promozione del libro e della lettura” che per quanto si riesce a capire dal sito funziona così: ci si dichiara disponibili a diventare messaggeri, si ricevono gratuitamente a casa 6+6 copie di due diversi romanzi, scelti da una lista di 24, dopodiché si può “partecipare attivamente a tutte le iniziative di #ioleggoperché” (non mi è chiaro come, ma iscrivendosi si capirà). 

Non so come siano stati scelti i 24 romanzi. Immagino che ogni casa editrice ne abbia indicato uno dal suo catalogo, scelto tra i più facili, leggibili, tentanti anche per i lettori più deboli, che sono quelli da conquistare alla lettura. Sono tutti romanzi di autori contemporanei. Sono, per dirla molto gentilmente, romanzi di qualità diseguale.

È un’iniziativa promozionale, e va benissimo: è bene che i libri si vendano e che le case editrici non chiudano, e ogni tattica che aiuti a raggiungere questo obiettivo è legittima (la stessa cosa naturalmente – ma il dettaglio sembra sfuggire a molti, specie tra gli intellettuali – vale per i gestori di sale cinematografiche, i produttori di lampadine e i rivenditori di auto usate: in sé, vendere libri non è un’attività né più né meno nobile che vendere bistecche). Nello specifico ho però due obiezioni, una di metodo, o meglio di forma, l’altra di sostanza.

L’obiezione di forma è questa. Invitare alla lettura può anche andare bene, ma il linguaggio emozional-motivazionale che leggo nel sito no, perché è proprio il tipo di linguaggio che bisognerebbe tenere lontano dai libri e lasciare agli imbonitori di piazza o ai telepredicatori: “Lascia il tuo segno sul Social Wall”, “Il libro come esperienza da condividere”, “Diventa Messaggero” (e lasciamo stare, che ormai è tardi, la parola-prezzemolo evento, che in un paese normale non sarebbe mai andata più in là di Corso Como). Sospetto che i non-lettori intelligenti non si faranno sedurre da questa retorica, e continueranno a non leggere: hanno la mia totale approvazione, anche perché secondo me non leggere è meglio che leggere alcuni dei libri che si trovano nella lista compilata dall’Aie. E sospetto che a essere sedotto sarà soprattutto qualche secchione brufoloso con la smania di evangelizzare il mondo a colpi di Sveva Casati Modignani. Spero che continuino a non invitarlo alle feste.

Fin qui siamo nel kitsch, ma nel legittimo. Illegittima è un’altra cosa (e questa è l’obiezione di sostanza). Ho appreso dell’esistenza di #ioleggoperché perché mi è arrivata una comunicazione della mia università che mi invitava a visitare il sito e ad “aderire all’iniziativa”. Visitare il sito e aderire a un’iniziativa promozionale? Sono caduto dalle nuvole. Poi però ho visto che #ioleggoperché ha ricevuto il patrocinio di varie associazioni di benintenzionati, e tra gli altri quello della Crui, la Conferenza dei rettori delle università italiane. Che avrà sollecitato gli uffici comunicazione degli atenei, avrà invitato a partecipare a questa bella iniziativa, a organizzare un Evento, stabilendo anche che – come leggo nel sito – «se sei uno studente universitario, oltre a poter diventare un Messaggero e offrire un contributo essenziale alla diffusione della passione della lettura in tutta Italia, potrai avere accesso ai crediti formativi se la tua università è tra quelle che li hanno previsti». Fai il Messaggero, declama un paio di pagine di Margaret Mazzantini, e ti togliamo mezzo programma d’esame: ecco un’altra patacca di cui si sentiva la mancanza.

Senza nostalgie per lo stato di natura e per il buon selvaggio, ho sempre più spesso l’impressione (e so che non è un’osservazione originale, che altri l’hanno pensata prima e meglio) che la cultura amministrata sia ormai uno dei tanti nomi della stupidità. Ma lasciando la filosofia ai filosofi, vorrei solo dire che nei dipartimenti universitari, dei cui destini la Crui dovrebbe occuparsi, specie in quelli che si dedicano alle scienze speculative (sottorappresentate, temo, in quegli uffici, fitti invece di medici ingegneri economisti avvocati, cioè di persone che di libri veri, nella loro vita, ne hanno letti pochi), nei dipartimenti universitari s’incoraggia regolarmente la lettura di centinaia, migliaia di libri nessuno dei quali si trova né si troverà mai nella lista dei magnifici 24 che la Crui ha controfirmato, ed è in base alla conoscenza di questi libri, non di quelli, che si scontano i crediti agli studenti. L’università serve a questo: a tenere alta l’asticella, non ad aiutare la gente a passarci sotto. Anche per questo (ma non solo per questo), la Crui non dovrebbe avallare iniziative promozionali, specie se camuffate da crociate per la cultura, e specie se la loro qualità culturale è discutibile come quella di #ioleggoperché.

(Una precedente versione di questo articolo è uscita sul Domenicale del "Sole - 24 Ore", il  primo marzo 2015)