Sulla sua pagina Facebook c’è probabilmente il tentativo più riuscito di dialogo tra culture e religioni. “Come fanno gli italiani ebrei che rispettano il precetto alimentare secondo cui la carne non deve essere mischiata ai latticini a rinunciare alle lasagne dove la besciamella si lega col ragù?”, si chiede Rassmea Salah. E fioccano commenti su come le lasagne possano essere un piatto strepitoso essendo musulmani, vegani, italiani del Sud che non usano la besciamella o affezionati alla tradizione emiliana. Rassmea è una giovane donna lombarda (ha trent’anni), è stata consigliera comunale del Pd a Bresso, è nata in provincia di Pavia ed è cresciuta a Milano. Italiana, musulmana, porta l’hjiab perché considera il velo una libera scelta. Il suo nome è diventato famoso a Bologna e dintorni per la notizia che, suo malgrado,  l’ha vista protagonista assieme al marito Ilias Benaddi, anche lui italianissimo benché nato in Marocco. La coppia dovrebbe venire a vivere sotto le due torri ma si è trovata di fronte a numerose risposte negative, almeno sette: padroni di casa che hanno detto no perché i due sono musulmani e le agenzie immobiliari non potevano che “rispettare” questa volontà.

Il caso ha fatto rumore in città ed è finito sulla stampa locale. Anche il sindaco Virginio Merola ha preso posizione, arrivando a dire che avrebbe informato la magistratura se la coppia gli avesse fatto nomi e cognomi dei padroni di casa che avevano detto no. Parole, quelle del sindaco, che hanno fatto infuriare il centrodestra e le associazioni dei proprietari: “Ognuno è libero di affittare a chi vuole”. Mentre la vicenda diventava un affaire politico, la giovane coppia lombarda rimaneva sullo sfondo senza alimentare la polemica e incassava numerose offerte di alloggio da parte di bolognesi che avevano saputo di questa storia. C’è stato chi ha scritto sui social network, ad esempio sul profilo del presidente del quartiere Navile Daniele Ara, proponendo il proprio appartamento ora vuoto e chi ha telefonato direttamente alla redazione del «Corriere di Bologna», il quotidiano che ha pubblicato la notizia. Ora Rassmea e Ilias si sono presi tempo per decidere; il messaggio che è arrivato loro è che Bologna “la rossa” (anche se con un tono alquanto sbiadito a dir la verità) non è (solo?) una città razzista.

Ma ciò che è accaduto a questa giovane coppia non è un caso isolato. Lo confermano gli attivisti di Social Log, collettivo che supporta diverse occupazioni abitative in città tra cui la maxi occupazione dello stabile ex Telecom di via Fioravanti, dove hanno trovato un tetto circa 250 persone, tra cui 100 bambini. “Alcune persone che si rivolgono al nostro sportello e si dicono pronte a occupare lo fanno perché non trovano padroni di casa disposti ad affittare”, ha raccontato Luca Simoni, attivista del collettivo. E a girare per la città ci si imbatte in cartelli che dovrebbero quantomeno suscitare imbarazzo. Uno di questi era apparso su una ex libreria in via Serra, in Bolognina (quella della famosa “svolta”, per capirsi). C’era scritto: “Affittasi - no cinesi, no pakistani”. Il caso è stato sollevato da Radio Città del Capo, che ha contattato Giancarlo Morisi, proprietario del negozio e anche del vicino hotel Guercino. A suo avviso bollare quel cartello come razzista è un atto malizioso. “L’ho scritto io – ha spiegato – perché arrivano solo cinesi e pakistani e noi non siamo interessati a quel tipo di affittanza. Perché loro dopo portano frutta, verdura e generi simili”. Morisi ha raccontato che nella via sta nascendo un progetto di “street food”, con un’osteria di prossima apertura, una trattoria ben avviata e con ottime recensioni, un hotel tre stelle (il suo), il ristorante macrobiotico e la casa del caffè all’angolo con via Testoni. Insomma, in quel progetto non c’è spazio per i negozi a basso prezzo di cinesi e pakistani, ha aggiunto.

Il razzismo, più frequentemente di quanto si pensi, è questione di sfumature.