Il malinteso della politicizzazione. Le elezioni per il Parlamento europeo si avvicinano e da piu parti si moltiplicano gli appelli per coalizzare le forze politiche a livello transnazionale. Uno degli incentivi invocato più di frequente a realizzare nuove alleanze politiche è costituito dalla possibilità di influire sull’elezione del futuro presidente della Commissione europea. Curiosamente, tale posizione viene adottata sia da coloro che ritengono soddisfacente l’assetto dell’Unione uscito dalla crisi sia da coloro che invece mirano a rivedere lo status quo. Si levano così gli appelli per votare liste a sostegno di Schulz oppure di Tsipras alle elezioni di maggio. La convinzione sottesa, in parte corretta, è che la Commissione abbia accresciuto i propri poteri a seguito della crisi e che sia oramai assodato il legame fra nomina del presidente della Commissione e ruolo attivo del Parlamento europeo nel selezionare questa carica; i partiti nazionali si coalizzano dunque attorno a una figura da presentare, in campagna elettorale, come proprio candidato alla Commissione.

Il problema è che in questo modo si finisce in realtà per abbassare il già debole tasso di politicità delle scelte europee. Intanto, si dà per scontato che le elezioni europee funzionino e producano risultati in maniera simile a quelle nazionali, ossia secondo un asse destra-sinistra. Mentre questo potrebbe anche verificarsi in termini formali sulla scheda elettorale, visto che le elezioni si organizzano a livello nazionale, rimane il dubbio che, alla luce della volatilità delle alleanze nel Parlamento europeo, la divisione principale potrebbe divenire quella fra partiti ed esponenti politici di Paesi che sostengono le politiche di austerità e partiti ed esponenti politici che si dichiarano contrari. Nelle circostanze attuali, ciò significa che l’asse del sistema politico troverebbe il suo perno nella differenza fra Stati membri del Nord e del Sud. Non è difficile immaginare, ad esempio, che i partiti progressisti o socialdemocratici del Nord Europa non sarebbero pronti a modificare drasticamente i provvedimenti che hanno costituito la cornice della nuova governance economica dell’Unione.

Inoltre, l’attuale equilibrio fra poteri mostra che il vero motore politico della trasformazione è il Consiglio europeo e, in seconda istanza, il Consiglio dei ministri. In tal senso, l’elezione indiretta del presidente della Commissione finirebbe per certificare quanto è già stato ossificato dai trattati e dai provvedimenti adottati per fronteggiare la crisi europea. Quello che si verificherebbe, dando l’illusione che l’elezione indiretta sia il prodotto di un conflitto politico, sarebbe semplicemente il rafforzamento elettorale del ruolo di supervisore delle politiche nazionali dei Paesi sotto osservazione e non quello di iniziatore di un nuovo ciclo di politica legislativa. In effetti, molte delle misure richieste dai trattati devono essere adottate a livello nazionale perché spesso sono di competenza dello Stato membro. Di conseguenza, la legittimazione indiretta del presidente della Commissione rischia di dare più potere a un organo nell’esercizio della sua funzione di controllo delle politiche nazionali di bilancio. Lungo questa strada non si ottiene alcuna politicizzazione dell’Unione europea, ma si aggrava, attraverso una forma di legittimità elettorale indiretta, lo svuotamento della politica a livello nazionale.