«Italy has, once again, shown that it is ill-prepared for what seems to be a new surge of mixed migration flows. The Government seems to have learnt few, if any, lessons from its experiences in 2011.» Il tragico naufragio di questa mattina a Lampedusa arriva a un giorno soltanto dall'ennesima condanna del Consiglio d’Europa sulle politiche italiane per l’immigrazione.

Non è la prima volta che Strasburgo giudica le politiche dell’Italia in materia «sbagliate o controproducenti». Nell’ultimo Rapporto, approvato all’unanimità dalla Commissione migrazioni, si criticano di nuovo e senza mezzi termini le misure prese in questi ultimi anni dall’Italia per gestire i flussi migratori, e si sottolinea l’incapacità del nostro Paese di «gestire un flusso che è e resterà continuo».

Si criticano i ritorni forzati di immigrati nei loro Paesi di origine, dove spesso rischiano la vita, la gestione dei Cpt. Si critica l’abitudine di dichiarare lo stato d’emergenza per «adottare misure straordinarie al di là dei limiti fissati dalle leggi nazionali e internazionali». Inoltre, si sostiene che «a causa di sistemi di intercettazione e di dissuasione inadeguati», l’Italia si è di fatto trasformata in una calamita per l'immigrazione, in particolare per gli immigrati che cercano una vita migliore. Lo sapevamo da noi, verrebbe da dire, grazie.

Evidentemente la strada sinora seguita dall’Italia non è servita a convincere gli altri Stati membri che la responsabilità per i flussi in arrivo sulle coste italiane debba essere condivisa. Né le frequenti tragedie degli sbarchi vengono percepite dall’opinione pubblica europea come problema globale, non solo italiano. Mentre per molti tra coloro che seguono da vicino il fenomeno migratorio nel nostro continente, sempre più si impone con forza l’apertura di un canale umanitario verso la costa Nord africana da parte di quella stessa Europa che «esternalizza le frontiere, finanzia i centri libici, i sistemi di controllo nel Sahara, impegna le forze nel pattugliamento delle acque, solo ed esclusivamente con il fine di respingere e rifiutare». 


Prima dell’ultima, enorme tragedia sulle coste dell’isola che ha visto anche papa Francesco cercare di attirare attenzione su un dramma umanitario globale, c’è stata la morte di altre tredici persone sulle coste siciliane, a Scicli, gettate dagli scafisti giù da un barcone con duecento persone, in due metri d’acqua di un mare particolarmente agitato. Quel giorno – pochi giorni fa, il 30 settembre – chi si trovava sulla spiaggia ha cercato di soccorrere i naufraghi. Un bagnino. Un carabiniere (la registrazione mandata in onda da Popolare network con le parole del carabiniere che ha salvato due persone e ne ha viste morire altre andrebbe inviata a tutte le ambasciate dei Paesi che fanno parte dell’area Schengen). Così, sgomenti di fronte all’ennesima tragedia, ancora una volta ci domandiamo dove sia l’Europa, rifiutandoci di considerare tragedie come queste parte di un mondo che nessuno di noi vuole guardare in faccia. Come ha scritto qui Gabriele Del Grande, è «autocensura ed è figlia del razzismo più sottile e insidioso, quello che non si vede, quello che permea il nostro immaginario senza che ce ne rendiamo conto». E il rischio è che questo sia sempre più l’atteggiamento dell’Europa, non solo di chi siede alle scrivanie di cristallo di Bruxelles e di Strasburgo ma anche nelle redazioni dei giornali e tra l’opinione pubblica.

Eppure Lampedusa, Italia, non si può ignorare. Almeno sino a che più a Nord la si vorrà considerare, né più né meno, Lampedusa, Europa. Nel frattempo, dopo avere «tristezza per quanto avvenuto» oggi, il commissario Ue Johannes Hahn ha dichiarato che «l’Ue deve vedere cosa fare per aiutare». Non è granché, come impegno.

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