Il voto palese fu fortemente voluto e conflittualmente introdotto nella seconda metà degli anni Ottanta dal segretario socialista Bettino Craxi stanco dei frequenti agguati dei franchi tiratori democristiani: una razza combattiva, nelle trame e nel segreto. La sua introduzione fu contrastata in special modo dai comunisti e dal capogruppo della Sinistra Indipendente alla Camera Stefano Rodotà, poi Garante della Privacy, e da alcuni suoi colleghi, in primis, Raniero La Valle. Per la mia posizione di allora, mi permetto di rimandare alla lettura di un paio di articoli pubblicati su “la Repubblica”, 1988. I comunisti sapevano che le loro poche vittorie parlamentari, sotto forma di emendamenti (la “cultura dell’emendamento” criticata dall’allora senatore Filippo Cavazzuti), dipendevano la maggior parte delle volte proprio dai franchi tiratori Dc. Rodotà e La Valle non stavano dalla parte della “nobile” difesa della Costituzione, ma del meno nobile e spesso viscerale anti-craxismo.

Adesso, troppi ex-comunisti e quei due ex-parlamentari della Sinistra Indipendente rivelano che la loro difesa del voto segreto aveva poco a che vedere con la “libertà” di voto dei parlamentari, ma era soltanto un ennesimo episodio di opportunismo istituzionale. Seguendo Grillo e i, finora non particolarmente ferrati in materia di Costituzione, parlamentari a 5 Stelle, contro Berlusconi si può, anzi, sarebbe moralmente giusto votare in modo palese. Per fortuna che D’Alema ha detto chiaro e tondo che le norme, in questo caso, quelle contenute nel regolamento del Senato, non si cambiano in corsa. Qualche limpida indicazione viene anche dalla Costituzione che alcuni degli improvvisati fautori del voto palese asseriscono di volere difendere, magari attuandola. Se il parlamentare, art. 67, deve esercitare le sue funzioni “senza vincolo di mandato”, questo significa che né il gruppo parlamentare né il partito che lo ha fatto eleggere né, tantomeno, qualcuno fuori dal Parlamento sono legittimati a imporgli come votare. Semmai, dovrebbero essere i parlamentari che votano in maniera difforme dalle indicazioni del loro gruppo parlamentare (e del loro partito) a sentire l’esigenza di spiegare agli elettori, non soltanto ai loro, con questa legge elettorale, sconosciuti, elettori il perché e, eventualmente, a trarne le conseguenze.

Tuttavia, quando si vota per o su persone, il quesito da porre è molto più complesso. Non è il caso di fare sì che chi vota palesemente contro un potente non corra il rischio di essere colpito da vendette? Non è il caso di evitare che qualcuno possa votare palesemente (magari fotografando la sua scheda) a favore del potente di turno per compiacerlo e per ottenerne vantaggi a non tanto futura memoria? In entrambi i casi la risposta costituzionalmente corretta è una sola, sonora, rotonda e squillante: voto segreto. La nemesi è in agguato. Coloro che difendevano opportunisticamente il voto segreto, rischiano di essere disintegrati dal voto palese che, altrettanto opportunisticamente e platealmente, vogliono introdurre ad hoc. Per i più lungimiranti, la risposta si trova in una riforma elettorale che introduca i collegi uninominali. Allora, ciascun parlamentare potrà esprimere consapevolmente e palesemente il suo voto, spiegarne le motivazioni e rivendicarne le conseguenze di fronte ai suoi elettori e, eventualmente, con un filo di sana retorica, alla Nazione.