La mia prima reazione alla nomina di Giuliano Amato a giudice costituzionale è stata: “peccato!” Peccato che un vero uomo di Stato venga sottratto per nove anni – dunque, data la sua età, per sempre – a compiti operativi in una situazione che avrebbe un grande bisogno delle sue competenze. Ma se Giuliano ha accettato la nomina, vuol dire che disperava che compiti siffatti potessero essergli affidati e la Corte è senz’altro un luogo in cui le sue capacità e il suo equilibrio potranno essere utili al Paese. Mi sono bastate le reazioni alla sua nomina da parte delle forze politiche di estrema destra e sinistra (Travaglio di sinistra? Grillo di sinistra?), e soprattutto l’assenza di commenti impegnativi da parte delle grandi forze di centrodestra e centrosinistra, per convincermi che ha fatto bene ad accettare.

Il livore, la volgarità, l’ignoranza che esprimevano alcuni degli articoli che ho letto in questi giorni meritano un commento e bene ha fatto Gian Arturo Ferrari a esprimere la sua indignazione sul «Corriere della Sera»: sono la fotografia di un Paese che dubito possa mai avvicinarsi alle nazioni civili del nostro continente. Ma meritano un commento, al di là del modo in cui sono espresse, soprattutto le accuse che ad Amato vengono rivolte.
Tre, in sostanza, e le enumero in ordine di importanza crescente.

La prima è così ridicola che quasi mi vergogno a riportarla: l’entità dei suoi redditi pensionistici, frutto del numero e dell’importanza delle funzioni che ha svolto nella sua vita. Lascio da parte il fatto che per almeno una di queste, lautamente ricompensata, l’interessato abbia rifiutato l’emolumento corrispondente: per tutte le altre, il compenso e i diritti conseguenti sono stati tutti calcolati secondo la legge e l’obbligo d’imposta regolarmente assolto. La loro somma dà sicuramente luogo a un reddito elevato, ma non così elevato come quello di molti manager e dei migliori professionisti, per non dire di imprenditori e finanzieri quasi ignoti al grande pubblico. Ma ci si rende conto delle competenze e delle capacità di Giuliano Amato? Ci si rende conto che, se avesse seguito altri profili di carriera, avrebbe potuto guadagnare assai di più dei Gallo, Severino e Tremonti, per limitarmi a giuristi che hanno anche svolto funzioni pubbliche e i cui redditi professionali sono noti? Quello degli emolumenti nel settore pubblico è sicuramente un problema delicato e con delicatezza va trattato: ma che il pubblico dovrebbe reclutare le migliori capacità del Paese e che gli emolumenti pubblici non possano essere troppo inferiori rispetto a quelli privati (in un Paese civile parte del compenso è il prestigio e il potere che una funzione pubblica dovrebbe dare, come dà in Francia) credo sia un principio che tutti dovrebbero accettare.

La seconda accusa è di essere stato un uomo di tutte le stagioni, della Prima e della Seconda Repubblica, e di aver ricevuto incarichi prestigiosi da entrambe. Dopo il trauma che colpì il loro partito nei primi anni Novanta, le vie dei leader socialisti si sono divise: alcuni si sono ritirati o quasi dalla politica attiva; altri – imputando al Pci gran parte delle colpe della “strana disfatta”, o per altre e meno comprensibili ragioni – sono passati a destra, con Berlusconi; altri ancora sono rimasti a sinistra, o tentando di rivitalizzare la vecchia ditta, oppure fornendo le loro competenze a quanto ancora si muoveva sul lato dello spettro politico cui il Psi apparteneva e tutti i partiti socialisti europei appartengono: la sinistra, e dunque l’Ulivo, i Ds, il Partito democratico. Ha fatto male Giuliano Amato a seguire quest’ultima via, non volendo spostarsi a destra, giudicando irrealistiche le proposte di rivitalizzare la ditta e, soprattutto, a differenza della gran parte dei suoi colleghi, avendo qualcosa da contribuire come uomo di governo, come uno dei pochissimi politici e tecnici italiani circondati da una stima universale a livello internazionale? L’uomo era ed è rimasto un socialista, eccezionale come giurista e conoscitore dei meccanismi di governo, ma non è mai stato e non è un leader politico weberiano, che scommette e rischia in proprio: vale solo per questo tipo di leader la regola che non dovrebbero essere uomini di stagioni diverse. Ma chi è stato a lui vicino in questi anni, come Luciano Cafagna e, più modestamente, chi scrive; chi l’ha visto commuoversi alla lettura del meraviglioso e ingenuo libretto di Tony Judt (Guasto è il mondo, Laterza), non ha mai dubitato della profondità e continuità del suo orientamento ideale.

Veniamo così alla terza accusa, la matrice di tutte le altre: quella di essere stato uno stretto collaboratore di Craxi e dunque uno che “non poteva non sapere” dei metodi che il Psi adottava per procurarsi i quattrini. Ricordo un lungo colloquio con Amato nei primi anni Ottanta, quando entrambi eravamo entusiasti per il successo di Mitterrand in Francia. Il progetto di fare come Mitterrand, di porsi alla guida di una coalizione di sinistra, un ruolo che il Pci non poteva e non voleva assumere, era un progetto cui per lungo tempo Giuliano ha creduto. Un progetto irrealizzabile nel nostro Paese- questa la mia obiezione- ma un grande progetto, che per un piccolo partito richiedeva notevoli risorse, ma  per il quale egli riteneva valesse la pena di impegnarsi a fondo. Nel clima di allora, in cui in diverso grado erano sporche le mani di tutti, in cui il realismo politico faceva premio su ogni altro valore, in cui l’arroganza e il senso di impunità dei politici era al massimo, scoppiò Tangentopoli: alla drammatica chiamata di correo di Craxi nel 1992 rispose solo un cupo silenzio. Sì, Giuliano è stato craxiano, ha creduto a quel progetto, e “non poteva non sapere” dei mezzi illeciti che tutti i partiti, e il suo in primis, adottavano. Due sole osservazioni. La prima: in uno Stato di diritto la responsabilità penale è personale, cosa di cui anche ora spesso ci si dimentica, e Amato non è mai stato processato e condannato. La seconda e più importante: le vicende e i comportamenti di un periodo così drammatico della nostra vita politica vanno posti in una prospettiva storica. Ma la storiografia non è ancora arrivata a scandagliare in profondità i fatti e il clima di quell’epoca, le opinioni e le mentalità allora prevalenti, e soprattutto le chance concrete a disposizione dei protagonisti di allora.

Al posto della comprensione storica abbiamo gli insulti del «Giornale», di «Libero» e del «Fatto Quotidiano», di personaggi che a Giuliano Amato non sono degni di allacciare i calzari. Davvero una grande tristezza.