Il clima è cambiato. Sono passati più di vent’anni da quando i brasiliani in massa, per l’ultima volta prima dello scorso giugno, scesero in piazza. In quel caso i dimostranti accusavano un governo corrotto, quello di Collor de Mello, e attraverso quelle manifestazioni popolari riuscirono rapidamente a farlo destituire. Le proteste di questi giorni, invece, sono state originate dall’aumento dei prezzi del trasporto pubblico delle grandi città.

Questa, però, è stata solo la miccia che ha dato fuoco a un malcontento latente, diventato sempre più evidente giorno dopo giorno. Ed è così che, nonostante la proposta di aumentare i prezzi del trasporto pubblico sia stata ritirata in quasi tutte le grandi città, con San Paolo in testa, la protesta non si è affatto chetata. Ha assunto, piuttosto, i tratti di una critica serrata alla corruzione politica e alla gestione delle casse dello Stato. Il bersaglio principale della piazza si è così spostato sulla spesa sopportata dal Brasile per l’organizzazione dei Mondiali del 2014 e delle Olimpiadi del 2016.

Le immagini delle grandi avenidas brasiliane traboccanti di gente, che brandendo la bandiera del proprio Paese chiedono una allocazione “più equa” delle risorse dello Stato e una lotta serrata alla corruzione, hanno fatto il giro del mondo. Il colpo d’occhio è spettacolare e i numeri dei partecipanti sono da capogiro se comparati con altre manifestazioni di massa svoltesi negli ultimi anni, dal movimento pacifista europeo agli attivisti di Occupy Wall Street a Zuccotti Park, passando per gli indignados spagnoli. Qui, però, non siamo a Roma, né a New York e neppure a Madrid. Le manifestazioni brasiliane, benché abbiano portato in piazza milioni di cittadini, sono divampate solo nelle sette città più popolose del Paese, arrivando a coinvolgerne altre, ma senza riuscire a trascinare tutte le realtà urbane.

Quelle delle scorse settimane sono state dunque, a conti fatti, manifestazioni limitate alle maggiori città e guidate dalla classe media. Si tratta di un segmento importante della società che ha visto ingrossare le proprie fila negli ultimi anni e che, stando alle previsioni, continuerà ad aumentare di volume: i numeri parlano di circa quaranta milioni di brasiliani che sono stati protagonisti di questa ascesa sociale. Una fetta di cittadini che chiede maggiori possibilità di partecipazione ai processi decisionali della politica nazionale in un sistema politico che finora è sembrato incapace di assorbire queste voci.

E, se per molti anni il Partido dos Trabalhadores (Pt) aveva rappresentato un’alternativa dentro l’attuale sistema politico, oggi, dopo più di dieci anni di presidenze targate Pt, non è più così. Casi di corruzione coinvolgono molti esponenti del partito e, ormai, anche l’ex presidente Lula e la crescita economica straordinaria che si è registrata nell’ultimo decennio in Brasile, non riescono più a tenere tutto in sordina. Ciò, a causa della brusca frenata dell’economia nazionale e del coinvolgimento dello stesso Lula nelle vicende di corruzione. Il Pt, insomma, è stato travolto da una crisi di credibilità che, perlomeno fino a giugno scorso, non aveva intaccato la popolarità del presidente Dilma Rousseff.

Oggi, però, il clima è cambiato e sull’onda emotiva delle settimane di proteste il supporto a Dilma ha mostrato crepe profonde. La sua reazione non si è lasciata attendere, proponendo un articolato patto nazionale (da ratificare mediante un referendum popolare) che va dalla riforma politica  all’aumento della spesa sociale, passando per un severo inasprimento delle pene verso i casi di corruzione. Ma proprio quando l’ondata delle proteste sembrava essere terminata, i sindacati congiuntamente hanno chiamato allo sciopero generale, per la prima volta dopo 22 anni, lo scorso 11 luglio. Gli effetti della reazione del governo potranno essere valutati solo con l’approssimarsi delle elezioni presidenziali del 2014.

L’utilizzo di etichette, quali quella di "primavera", è quindi semplicistico, nonché equivoco. Non v’è dubbio che vi siano alcuni tratti comuni con quanto accaduto due anni or sono in Medioriente, dall’utilizzo dei social media alla dimensione generazionale della protesta. Sono però tratti comuni anche a molti altri fenomeni politici e sociali contemporanei. Quello che avviene in Brasile, in fin dei conti, non è altro che un fenomeno “normale” all’interno delle giovani democrazie: corruzione creata intorno a un partito rimasto per lungo tempo al governo, proteste di settori sociali in ascesa per ottenere maggior rappresentanza politica e un governo che in maniera equilibrata risponde alle pressioni dei manifestanti. Dinamiche "normali", per fortuna, in un’America Latina dove, invece, hanno ancora successo il populismo, la sobillazione delle masse da parte del potere politico e la delegittimazione dell’avversario politico.