È un’offensiva frontale quella che viene portata dai grandi quotidiani contro i gruppi di interesse, contro i detentori dei poteri di veto, peggio ancora se impudicamente “incrociati” (che non stiano semplicemente facendo il loro lavoro?), e contro, infine, le cosiddette lobby. Sta per arrivare un’incisiva legislazione che permetterà almeno di qualificarli tutti così, spregiativamente: “lobby". E controllare poi, con minor sicurezza, se le loro pressioni non violano le leggi.

Non chiedete, però, all’editorialista del Corriere della Sera, Michele Ainis, che è anche uno degli esperti per la riforma delle istituzioni, di dirvi dove si trovano queste lobby. Infatti, facendo riferimento proprio all’espressione usata negli Stati Uniti, Ainis ha suggerito di cercarle nei corridoi. Buio, buio totale. Se Ainis avesse mai preso un ascensore in qualche albergo Usa oppure nei grandi condomini, avrebbe scoperto che la L maiuscola sta proprio per "lobby" che vuole dire ingresso, atrio, ovvero il grande spazio al pianoterra. Nient’affatto un corridoio lungo e stretto, magari anche male illuminato, ma un luogo ampio di passaggio, di incontro, spesso luminoso.

Obbligati a vivere almeno qualche giorno nelle capitali dei rispettivi Stati nonché ovviamente a Washington, dove si riuniscono le assemblee legislative, i rappresentanti eletti ricevevano i portatori di interessi, più o meno legittimi (ma, in democrazia, chi decide della legittimità degli interessi?) proprio nella lobby, ovvero nell'atrio degli alberghi nei quali alloggiavano. D’altronde, se la democrazia è, come deve essere, pluralistica, allora tutti gli interessi hanno il diritto di essere ascoltati. In quegli alberghi, oltre a essere ascoltati, quegli interessi venivano anche visti: al bancone del bar, al ristorante, in ampie poltrone, ma questo non bastava a ritenere trasparente la loro attività.

Non è, comunque, il caso di imitare la dettagliatissima legislazione statunitense in materia che, lo sanno tutti, non è mai riuscita a contenere l’attività e l’influenza delle lobby. Piuttosto, dovremmo chiedere a chi vuole legiferare in materia di rispondere ad alcune domande preliminari. Primo, dov’è finita la libera stampa, quella che dovrebbe scavare nei fatti? Secondo, dove sono andati i giornalisti investigativi, coloro che dovrebbero individuare, ad esempio, quale emendamento viene introdotto nella Commissione che si occupa di materie scottanti e constatare, sorpresa sorpresa!, che praticamente emendamenti dal contenuto sostanzialmente uguale sono firmati singolarmente da parlamentari di gruppi diversi? Terzo, possibile che, avviandosi alla conclusione dell’iter in commissione di un qualche disegno di legge, si scopra che persino il governo, per bocca di un sottosegretario più o meno autorevole, converge su quegli emendamenti, li fa, come si dice, “propri”, riformulandoli appena?

La somma di interessi particolari raramente attinge le vette dell’interesse generale. Quello che conta è il messaggio che le lobby (non i “corridoi”) ricevono: il governo non le ostacola. Anzi, le ascolta e le “concerta”. Ha bisogno di loro e, al momento opportuno, singoli parlamentari, qualche ministro, uno o più partiti torneranno da loro, le lobby, con il cappello in mano, capiente e ospitale. Naturalmente, “è la democrazia pluralistica, bellezza”.

No, non è esattamente così. È una democrazia debole, con un Parlamento bicamerale dall’imperfetto funzionamento che apre voragini all’arrembaggio delle lobby. Con partiti che colludono invece di competere. Con magistrati che poco sanno in materia e che, comunque, decidono con tempi biblici. Con commentatori che gridano al complotto e ritengono di poterlo sventare dando più potere (di fare cosa?) al capo del governo. Con esperti, infine, che si perdono nei corridoi, perché non conoscono l’inglese e non hanno letto nessun libro sui gruppi di pressione. Non dobbiamo temere la vigorosa espressione degli interessi organizzati anche sotto forma di lobby, ma coloro che le denunciano senza adeguata cognizione di causa.