A metà dicembre i leader europei sono chiamati a decidere sulle proposte presentate dal “quartetto” Van Rompuy-Barroso-Draghi-Juncker, dirette a una maggiore integrazione finanziaria, bancaria, economica e politica. L’idea centrale del “quartetto” è che il rafforzamento della disciplina di bilancio non sia sufficiente e che occorra dare all’Eurozona una capacità di bilancio per facilitare il compito dei Paesi vittime di shock asimmetrici, nonché per sostenere le riforme economiche degli Stati membri, nel tentativo di trovare un equilibrio tra disciplina e solidarietà. Silenzio sulle modalità di finanziamento del bilancio dell’Eurozona, sulle sue modalità di gestione e sul controllo democratico.

Van Rompuy suggerisce di studiare la possibilità, su base limitata e condizionale, di mettere in comune alcuni strumenti di finanziamento sovrano a breve termine. Sul fronte della governance, il rapporto propone intese individuali su base contrattuale tra i Paesi e la Commissione. Resta aperto, in vista di un eventuale accordo a fine anno, il tema della legittimità democratica della governance europea e dei rapporti fra l’Eurozona e l’insieme dell’Unione a 27.

Le decisioni del Consiglio europeo di giugno e le aperture del rapporto del “quartetto” hanno suscitato aspettative, certo al di là del contenuto del rapporto stesso. Fra le ipotesi vi è anche, come sappiamo, quella di una revisione del Trattato di Lisbona, così come è stato richiesto dalla cancelliera Merkel e, da tempo, dall’insieme delle organizzazioni federaliste riunite all’interno del Movimento europeo.

Il cantiere dell’Ue si appresta dunque a essere riaperto, ma con molte incertezze.

La dimensione dei lavori da effettuare: il progetto architettonico potrebbe essere limitato a una genuine economic union, come chiede Van Rompuy, con il rischio di avere una nuova e più ampia versione del fiscal compact, o estendersi a una revisione delle competenze dell’Unione, accompagnata da un rafforzamento della democrazia europea, o, ancora, prevedere un’ampia ristrutturazione per realizzare l’unione politica con un numero di inquilini inferiore a quello che oggi alloggia nell’Ue.

La questione risiede nella ditta, o nelle ditte, cui saranno affidati i lavori, cioè l’organo o gli organi a cui sarà dato il mandato di procedere sulla via della riforma, sapendo che una più ampia versione del fiscal compact può essere ottenuto attraverso un rapido negoziato intergovernativo seguito da ratifiche nazionali, mentre cessioni di sovranità e revisioni richiedono la convocazione di una convenzione, un accordo intergovernativo e ratifiche nazionali.

I tempi di consegna: possono essere brevi, nel caso di un limitato compromesso fra i governi, o possono slittare fino al 2015-2016, nel caso di una riforma più ampia.

Chi abiterà nell’area rinnovata? Sapendo che il fiscal compact è stato il segnale di una rottura voluta da Cameron dell’unità a 27 con sole dodici ratifiche nazionali (su 17 Paesi membri dell’Eurozona) per entrare in vigore, il passaggio a una maggiore integrazione obbligherà a fare i conti non solo con l’ostilità britannica, ma anche con le resistenze nazionaliste di altri Paesi tra cui la Francia.

Su questi quattro punti, regna l’incertezza. L’avvio dei negoziati per la revisione del Trattato di Lisbona avverrà non prima dell’autunno del 2015, dopo le elezioni europee del giugno 2014 e il successivo rinnovo dei vertici delle istituzioni europee e le eventuali ratifiche nazionali degli accordi sulle nuove prospettive finanziarie 2014-2020. Tra le varie ipotesi per avanzare verso la strada dell’integrazione politica vi è il percorso indicato dal Movimento europeo e da una rete di organizzazioni della società civile, consapevoli che le misure urgenti a trattato costante devono essere accompagnate dall’avvio di un processo per la costruzione di un’Europa più democratica e solidale.

Com’è avvenuto su autoiniziativa dell’Assemblea europea nel 1984 con il “progetto Spinelli”, e come avvenne su iniziativa italiana il 10 settembre 1952, il luogo deputato a essere la sede democratica del dibattito e delle decisioni costituenti deve essere il Parlamento europeo, che sarà eletto da 400 milioni di cittadini-elettori nel giugno 2014. Per far questo occorrerà superare una serie di ostacoli e attrezzarsi per superarli.

In primo luogo, la decisione dei partiti europei di designare un loro candidato alla presidenza della Commissione europea faciliterà l’europeizzazione dello spazio pubblico all’interno dell’Unione. In questo quadro, e se le regole lo consentissero, il candidato-presidente potrebbe essere il capolista nelle elezioni europee in uno o più o tutti i Paesi membri e a lui deve essere naturalmente collegato un programma di governo della legislatura.

Il ruolo costituente del Parlamento europeo deve essere preparato da iniziative politico-parlamentari adeguate. Esistono tre ipotesi percorribili: una consultazione popolare associata alle elezioni europee del giugno 2014 nei Paesi che lo vorranno; un mandato elaborato da una riunione delle assise interparlamentari sull’avvenire dell’Europa; una Convenzione che elabori un rapporto di natura politica sul quadro costituzionale della nuova Unione, da sottoporre al dibattito europeo che precede le elezioni europee e che contenga un mandato “costituente” per il prossimo Parlamento europeo.

È possibile immaginare un iter che utilizzi gli elementi innovativi di ciascuna di queste proposte e cioè delle assise interparlamentari (primavera 2013) che precedano la convocazione della Convenzione (maggio 2013) e una consultazione popolare associata alle elezioni europee del maggio-giugno 2014 da cui nasca un Parlamento costituente. Per far questo occorre un’iniziativa politica forte, che si ispiri alle dichiarazioni Genscher-Colombo del 1982 e Amato-Schröder del 2000, con una proposta italo-tedesca da sottomettere al Consiglio europeo del 13-14 dicembre 2012.

 

[Questo articolo, scritto in collaborazione con Roberto Santaniello, riprende l'intervento pubblicato, in forma più estesa, sul numero 6/2012 della rivista "il Mulino"]