Verso il referendum sull'indipendenza. Lo scorso lunedì, a Edimburgo, il primo ministro britannico David Cameron e il presidente del governo scozzese Alex Salmond hanno firmato un accordo che definisce la roadmap per arrivare, entro la fine del 2014, al referendum con il quale i cittadini residenti in Scozia saranno chiamati a esprimersi in favore o contro l’indipendenza da Londra. L’Edinburgh agreement è corredato da un memorandum in 30 punti che specifica i dettagli dell’accordo, e da una bozza di modifica che introduce la possibilità di un referendum sull’indipendenza nello Scotland Act del 1998, che nell’ambito del progetto di devolution garantiva alla Scozia di avere un proprio Parlamento e un governo con un ampio margine di autonomia decisionale in materie di competenza definite (sanità, educazione, giustizia, attività agricole, trasporti).

Secondo l’accordo, il Parlamento scozzese emanerà una legge che stabilirà la data, la formulazione del quesito e le regole per il finanziamento e lo svolgimento della campagna referendaria. Riguardo alla proposta dell’Snp di estendere il diritto di voto anche a sedicenni e diciassettenni per la consultazione referendaria, sarà lo stesso Parlamento scozzese a decidere. Tuttavia, sulla proposta scozzese dovrà pronunciarsi la Commissione elettorale della Gran Bretagna, al fine di assicurare che il referendum sia “in linea con gli standard più alti di imparzialità, trasparenza e legalità”. I termini dell’accordo sono frutto di una negoziazione iniziata otto mesi fa su proposta del governo scozzese guidato da Salmond, forte della storica maggioranza assoluta conquistata dal suo partito, lo Scottish national party, nelle elezioni per il parlamento scozzese del maggio 2011. Da allora la questione dell’indipendenza è stata al centro di discussioni politiche e giornalistiche. L’indipendenza – opzione preferita, oltre che dall’Snp, anche dai “Verdi scozzesi” e dai partiti minori Solidarity e Scottish socialist party – è attivamente promossa nell’ambito della campagna Yes Scotland. La campagna Better together, invece, guidata dall’ex cancelliere dello Scacchiere britannico Alastair Darling, promuove l’opzione unionista, sulla quale sono concordi gli esponenti scozzesi laburisti, liberaldemocratici e conservatori.

In Scozia entrambi gli schieramenti propongono argomentazioni supportate da dati e analisi sul presente e sui possibili scenari futuri che la Scozia si troverà ad affrontare. E se la guerra dei sondaggi è già iniziata da mesi, all’indomani dell’accordo si intravedono le differenze interne agli schieramenti contrapposti, che tengono con il fiato sospeso tanto gli analisti politici, quanto i bookmakers britannici. Il primo sondaggio pubblicato dopo la firma dell’accordo dall’agenzia Ipsos Mori e riportato dal quotidiano locale “The Scotsman” lo scorso 18 ottobre rivela che in Scozia solo il 30% della popolazione supporterebbe la scelta indipendentista, mentre il 58% preferirebbe restare nella Gran Bretagna. Qualunque sia l’esito del referendum, il caso scozzese avrà ripercussioni a livello europeo, per tutte le minoranze nazionali con velleità indipendentiste e per gli Stati di cui esse fanno parte: dalla Catalogna, Cameron e Salmond hanno già ricevuto le congratulazioni del presidente della Generalitat Artur Mas per l’accordo raggiunto. In Gran Bretagna, tuttavia, entrambi i protagonisti dell’accordo devono fare i conti con aspre critiche: David Cameron viene accusato dal Lord Michael Forsyth, esponente di spicco dei conservatori scozzesi, di agire come Ponzio Pilato, avendo lasciato a Salmond un margine di manovra troppo ampio; d’altro canto, Salmond viene criticato da una parte degli scozzesi favorevole a una maggiore autonomia, da realizzarsi nelle forme della devo max e devo plus, ovvero di una significativa o totale autonomia finanziaria e di una maggiore capacità di decidere su politiche sociali, di aver troppo arrendevolmente rinunciato a un secondo quesito referendario che prevedesse tali opzioni.

In realtà, l’accordo raggiunto è stato possibile grazie a una negoziazione aperta, e anche dopo il voto, qualunque sia l’esito, un altrettanto intenso periodo di negoziazione tra Londra e Edimburgo sarà indispensabile. Gli studi sulle possibili alternative allo status quo e all’indipendenza sono già una priorità, almeno per i laburisti scozzesi, sotto la guida di Johann Lamont, e per i liberaldemocratici, che appoggiano il “Campbell Plan”, un progetto di autogoverno scozzese nell’ambito di una Gran Bretagna federale. Quanto all’Snp, con la firma dell’accordo inizia un periodo di politiche volte ad aumentare la propria credibilità a livello locale e internazionale. La prima mossa in questo senso è del 19 ottobre, in occasione della conferenza del partito, durante la quale per la prima volta l’Snp si esprime per un’adesione della Scozia alla Nato, dopo l’indipendenza.