La notizia s’è presa tutta una pagina di quotidiano: tale Giuseppe Saggese è finito in carcere per peculato. Maneggiando in modo più o meno creativo i bilanci e i contanti di Tributi Italia, si sarebbe intascato personalmente quindici milioni di euro, sottraendone nel complesso un centinaio alle casse (e ai cittadini) di circa quattrocento comuni. Sembra che il gruzzolo sia stato investito, per così dire, in beni di prima necessità come Audi, Mercedes, Jeep Cherokee, yacht e noleggio di aerei; per tacere di sponsorizzazioni a ignoti musicisti coinvolti in opere liriche messe in scena in Vaticano, in onore di Madre Teresa di Calcutta, o stipendi da ottomila euro a ex generali delle Fiamme gialle e consorti. Naturalmente, tutto questo è da dimostrare. Nell’attesa, proviamo a fare un paio di considerazioni.

La prima è di tipo aritmetico. Prendiamo per buona la stima di chi opina che nel nostro amato Paese vengano sottratti allo Stato, e a noi, pressappoco centoventi miliardi di euro l’anno. Aggiungiamoci l’ipotesi che evadere le tasse o intascarsene l’importo siano comportamenti che si somigliano molto, almeno dal punto di vista del danno pubblico procurato (e magari anche da quello della moralità privata, per usare un concetto fuori moda). Abbiamo così tutto quello che ci serve per far di conto. Cento milioni stanno in centoventi miliardi ben un milione e duecentomila volte. Il che parrebbe ridimensionare, se non la colpa (eventuale) del Saggese, certo il rilievo della notizia che lo riguarda. In fondo, l’uomo e le sue malefatte (eventuali) si perdono nella sterminatezza complessiva del fenomeno che possiamo chiamare del “chi se ne fotte del bene pubblico”. Se ne volessimo indicare l’incidenza percentuale, dovremmo scrivere uno zero seguito da una virgola e da un esercito di altri zeri, prima di incontrare un numero superiore.

E veniamo alla seconda considerazione, d’ordine giornalistico. Se il Saggese s’è meritato una pagina di quotidiano su – poniamo – una sessantina delle complessive, previsioni del tempo e necrologi compresi, quante pagine dovrebbero esser dedicate ai centoventi miliardi totali? Un milione e duecentomila, naturalmente. Tradotto in quotidiani di sessanta pagine l’uno: ventimila quotidiani. Dunque, ogni giorno dell’anno circa cinquantacinque quotidiani dovrebbero occuparsi solo e per intero degli evasori. Oppure, capovolgendo la prospettiva: partendo dal numero di pagine dedicate al crimine sociale dell’evasione divertitevi a trovare la percentuale d’interesse alla questione da parte dei giornali, e dunque dell’opinione pubblica. Anche qui siamo nell’ordine dello zero-virgola-zero.

Tutto questo vi sembra esagerato, capzioso o peggio? Allora fa per voi un altro calcolo, che qualcuno ha elaborato in occasione del recentissimo secondo Rapporto eures sull’evasione. Se dal 1970 nel nostro Paese il fenomeno si fosse mantenuto al livello di quello statunitense (3% circa), il nostro debito pubblico sarebbe al 76%, e non al 120. E questa sì, che sarebbe una notizia.

P.s. Tributi Italia è una società privata, e il Saggese è un imprenditore privato. In Italia, dunque, non rubano solo i politici, né solo i dipendenti pubblici. Rubano anche i privati, e in grande. Il che dovrebbe farci riflettere sull’ubriacatura ideologica che ci accompagna dagli anni Ottanta del secolo scorso. Vuole, quell’ubriacatura, che pubblico sia sinonimo di inefficienza e corruzione, e che lo Stato debba sempre più cedere competenze e funzioni ai privati. Non sarà il caso di cominciare a ripensarci?