Il precariato globale ci sta suonando la sveglia. Il mondo è percorso dalla paura e dalla collera, e tuttavia intendere questo fenomeno esclusivamente come condizione di sofferenza è radicalmente sbagliato. Molti di coloro che vi sono trascinati cercano qualcosa di meglio rispetto a quanto offerto dalla società industriale e dal sindacalismo del Novecento.

In molti paesi, almeno un quarto della popolazione vive oggi in condizioni di precarietà. Dovuta non solo a lavori instabili, scarsamente (o per nulla) protetti dal welfare, ma anche al venir meno di carriere lavorative con un orizzonte temporale soddisfacente, all’erosione delle identità professionali, alla crescente esiguità delle prestazioni pubbliche e aziendali, considerate come diritti acquisiti dalle generazioni precedenti. Di fronte a un futuro spogliato di ogni sicurezza, questo nuovo precariato – inteso come vera e propria classe sociale, alla stregua del proletariato – potrebbe cercare rifugio nel populismo e nell’intolleranza, come mostrano molti indizi in Europa, negli Stati Uniti e altrove.

Guy Standing è docente di Economic Security nell’Università di Bath, Inghilterra; ha lavorato per l’Organizzazione internazionale del lavoro; è membro fondatore e co-presidente del Basic Income Earth Network (Bien), organizzazione non governativa che promuove il reddito di cittadinanza. Tra le sue pubblicazioni: «Work after globalization» (2009).

 

Precari. La nuova classe esplosiva, Collana "Contemporanea", Il Mulino, 2012, pp. 312.