Possiamo mettere un po' d’ordine nelle notizie economico-politiche di questa estate?

La premessa è la crisi del trattato di Maastricht, la stella polare della politica economica italiana della Seconda Repubblica, quella seria, in cui tutti abbiamo creduto, quella di Ciampi e Prodi: dobbiamo ora riconoscere che una moneta unica non regge se non ha alle sue spalle uno Stato sovrano. Gli economisti ci avevano avvertito che l’Eurozona non era un’area monetaria ottimale, che troppo forti erano le differenze tra gli Stati in essa ricompresi, e troppo limitata la sovranità delle sue istituzioni centrali, perché potesse reggere a shock asimmetrici, a eventi che colpissero con forza diversa diversi Paesi. Ed era illusoria l’attesa che in pochi anni le differenze potessero essere attenuate e le istituzioni centrali, federali, potessero essere rafforzate a prova di shock. Per una decina d’anni shock non ce ne sono stati, il che ci ha fatto abbassare la guardia. Poi ne è arrivato uno formidabile, l’onda lunga della crisi finanziaria americana del 2007-2008: tutto è cambiato e la situazione, grosso modo, è oggi questa.

Se i mercati finanziari internazionali cui il nostro debito ci espone si fidassero di noi, della nostra capacità di ripagarlo, chiederebbero interessi più bassi e forse ce la faremmo: dovremmo comunque affrontare un lungo periodo di vacche magre, dovremmo lentamente ripagare una buona parte del debito e imbarcarci in riforme strutturali difficili e a rendimento differito per attenuare le differenze principali con le economie più efficienti e gli Stati meglio gestiti del Nord Europa. 

Ci sarebbe però una luce alla fine del tunnel, una credibile ragione di ottimismo e l’ottimismo alimenterebbe consumi, investimenti, voglia di affrontare il rischio.

Ma come fanno i mercati a fidarsi di noi se la stessa Unione europea non si fida, se i Paesi più forti non fanno la loro parte in un gioco di fiducia complessivo? Un gioco il cui esito positivo non può che essere un forte rafforzamento della natura federale delle istituzioni europee, in cui sia i Paesi poveri sia quelli ricchi sono soggetti a regole decise democraticamente e vincolanti, in cui l’euro diventa la moneta di un vero Stato sovrano, non una moneta esterna a tutti gli Stati sovrani dell’Eurozona. Com’era l’oro ai tempi del gold standard. Tre soli sono gli esiti possibili del gioco: maggior federalismo, lenta asfissia o catastrofe, ovvero il collasso del sistema monetario europeo. E il secondo, la lenta asfissia, è un esito provvisorio e instabile, sempre sul punto di precipitare nel terzo, la catastrofe.

Questo, più sottotraccia che analizzato a fondo, è il vero tema di questa estate. Più espliciti, e più frequentati da politici e opinionisti, sono invece due temi collaterali, il primo economico e il secondo politico. Quello economico ha a che fare con le misure del governo (e le critiche dei partiti): come sottostare ai diktat dell’Europa e dei mercati finanziari mantenendo un minimo di autonomia, cercando di cavare qualche stimolo di crescita e qualche parvenza di equità nella situazione di asfissia in cui ci troviamo? Come evitare che anche quel minimo di autonomia ci venga tolta, qualora esplicitamente chiedessimo l’aiuto delle istituzioni europee allo scopo di evitare il confronto con i mercati? E qui i pareri si sbizzarriscono, come le proposte per abbattere direttamente parte del debito mediante vendite di patrimonio pubblico, imposte patrimoniali, richieste ai cittadini di sottoscrivere prestiti straordinari, o altro.

Quel che più sorprende nelle dichiarazioni e nelle proposte dei politici è la scarsa consapevolezza della situazione in cui ci troviamo, i margini di libertà che essi implicitamente assumono: e passi se queste dichiarazioni e proposte provengono da politici che si oppongono al governo Monti, ma diventano bizzarre se son fatte da quelli che l’appoggiano.

Bizzarre non sono, naturalmente: rivelano soltanto che siamo entrati in clima pre-elettorale. Questo è il secondo tema collaterale, quello politico: quale governo dopo le elezioni? Ora, è perfettamente vero che il pallino è passato all’Europa, che la nostra sorte dipende da decisioni/non decisioni che prenderanno la Germania e le istituzioni europee. Ma questo non toglie che un buon governo, un governo di cui l’Europa si fidi, potrebbe contribuire non poco a far prendere decisioni a noi favorevoli, che tengano conto dei nostri interessi e delle proposte di architettura europea che provengono dal nostro Paese. Anche questo non entra nella testa dei politici, che non sembrano avere altra preoccupazione se non quella di prendere le distanze da Monti e dal suo governo.

Quel che dovrebbero fare – far capire agli italiani la gravità della situazione e che comunque, quali che siano le misure adottate per affrontarla, queste imporranno gravi sacrifici per la gran parte dei cittadini – sembra l’ultimo dei loro pensieri. Il primo – a giudicare dalle loro dichiarazioni e dallo spazio a esso dedicato dai media – sembra essere la legge elettorale. Il che andrebbe anche bene se non si trattasse di uno sterile mercanteggiamento su quale legge avvantaggia maggiormente quale partito.

Allegria, direbbe il grande filosofo Mike Bongiorno.