Elezioni per il rinnovo del consiglio comunale e del sindaco all’Aquila. Le prime dopo il devastante terremoto del 6 aprile 2009. Oltre 160 ettari di centro storico distrutto, periferie a pezzi e con mille problemi. L’economia a terra con una vera e propria esplosione di cassa integrazione. Il commercio senza respiro. Le migliori espressioni culturali della città mortificate da un criminale disinteresse. Gli aquilani disseminati nelle new town. Una città che stenta a ritrovare un percorso e soprattutto un’anima. E allora le elezioni diventano banco di prova non tanto politico in senso classico quanto di tenuta del tessuto sociale e di capacità di reinventarsi.

Ma i segnali non sono incoraggianti.

E allora diamo i numeri. Otto candidati sindaco, più di 700 candidati per un posto di consigliere comunale disseminati in una miriade di liste e listarelle. Insomma un candidato ogni 50 elettori. Cambi di casacca, centro destra spaccato a metà con due liste contrapposte, centro sinistra che perde pezzi, l’Udc che si stacca da Fli che si stacca da Api…, programmi elettorali grigi e senza grandi voli. E poi le strane alchimie political-partitiche che qui chiamano laboratori… Un esempio per tutti,  la lista ecologista alleata della destra di Storace.  Sic!

E allora come leggere questi dati?

“È la voglia di partecipare, di contare… la gente è consapevole del valore dell’impegno sociale e politico… mettersi in gioco per il bene dell’Aquila…”. Queste e altre amenità simili vengono ripetute in città da oratori a volte davvero imbarazzanti. La sensazione, viceversa, è che a vincere sia “l’antipolitica di ritorno”. Ci si candida, si accetta di fare i portatori d’acqua sapendo di non avere alcuna possibilità di farcela pur di poter presentare il conto a fine partita. E qui la lista di piaceri da chiedere, con una città in gran parte ancora da ricostruire e con la miriade di abusi edilizi da farsi condonare, è sterminata.

Ovviamente c’è pure chi sinceramente ci crede. Ma a scorrere i nomi dell’esercito di candidati una cosa appare chiara: almeno un candidato su cinque ha già avuto o ha una carica politica. Alcuni hanno doppio e triplo incarico in regione, in provincia negli enti pubblici. E poi il mare di clientes. Niente di nuovo sotto il sole.

In questo fine campagna elettorale si è sentito davvero di tutto. Ma alcune domande restano senza risposta. La politica saprà individuare, interpretare ed esaltare le vocazioni dell’Aquila? Saprà dare una prospettiva di medio-lungo periodo all’azione amministrativa? Saprà cogliere i mutamenti sociali e culturali che, piaccia o no, il terremoto ha portato con se insieme a morti e distruzione?

Il presidente Napolitano chiede con forza che i partiti inneschino un processo di “rigenerazione della politica” nel tentativo di “…recuperare la fiducia in noi stessi e recuperare la fiducia degli altri”. Parole da condividere e fare proprie. Ma bisognerà ripartire dal linguaggio. La fine della funzione simbolica della comunicazione politica, la dichiarata avversione alle logiche partitiche può indurci a pensare che la politica non abbia più i mezzi  per proporre e affrontare grandi temi, né occuparsi della costruzione delle identità per ridursi a mera pratica di gestione del potere.

È qui che L’Aquila potrà, forse, marcare la differenza. Le elezioni le vincerà la città se sarà in grado di riconoscere e riaffermare  i bisogni di socialità, di integrazione e di identità guidando e controllando i nuovi o vecchi amministratori che verranno. Le case saranno ricostruite prima o poi ma senza identità L’Aquila sarà solo nella memoria di chi l’ha vissuta. Bella e indolente.

Nella speranza che i genitori non debbano presto essere costretti a preparare le valigie ai propri figli.