I conflitti e gli episodi di violenza che hanno attraversato la vita di Shenuda III fino alla sua morte (17 marzo 2012) sono una utile lente di lettura dell’intera storia recente della Chiesa copta e delle sue complesse relazioni con il potere politico egiziano.

Monaco dal 1954, diventato patriarca nel 1971, Shenuda III fu alfiere del risveglio spirituale e comunitario dei copti, portavoce delle rivendicazioni e delle proteste dei suoi fedeli. Difficile fu il suo rapporto con Sadat, a partire dalle tensioni e dalle violenze del 1981, quando il patriarca fu destituito e costretto a chiudersi nel monastero di Anba Bishoi. Mubarak adottò un tono fermo nei confronti degli estremisti islamici e con lui il confino di Shenuda III ebbe termine, il 31 dicembre 1984: questa dura prova contribuì a una nuova presa di coscienza della comunità che si trovò unita attorno al suo patriarca, martire perseguitato e poi vittorioso. Shenuda divenne così un test per la democrazia in Egitto: la sua figura fu sempre un punto di riferimento per mantenere in equilibrio i rapporti governativi egiziani con l’estero.

Già nel 1961 il patriarca aveva preso il nome di Shenute, monaco vissuto tra il IV e il V secolo. E proprio dal monachesimo egiziano, culla dei monachesimi cristiani orientali e occidentali, occorre partire per tracciare le linee della storia dell’Egitto cristiano o del cristianesimo copto, aggettivo che è utilizzato in riferimento ai cristiani d’Egitto. Probabilmente, corrompendo il termine greco Aigúptios “egiziano”, gli Arabi chiamarono gli Egiziani nativi Qbt o Qpht, che divenne poi a sua volta cophto, e quindi copto, nelle lingue occidentali. Questo termine, nato con gli Arabi intorno alla metà del VII secolo, avrebbe avuto, almeno all’inizio, un significato esclusivamente etnico e solo nel tempo una connotazione spiccatamente religiosa. A partire dal Mille, quando la maggior parte della popolazione egiziana era diventata musulmana, “copto” finì con l’indicare gli Egiziani rimasti aderenti al Cristianesimo, e nel contempo la loro lingua e la loro religione.

Le origini della Chiesa copta sono dunque strettamente legate ai primi sviluppi del monachesimo i cui protagonisti furono Antonio, considerato primo “padre del deserto”, Pacomio, fondatore del cenobitismo, la forma comunitaria di vita monastica, e appunto Shenute. Quest’ultimo è molto meno noto al di fuori dell’Egitto perché i suoi monaci si staccarono dalle posizioni ufficiali della Chiesa bizantina, adottando la dottrina che avrebbe poi dato vita alla Chiesa copta maggioritaria che rifiutò il concilio di Calcedonia del 451, quando fu stabilita la dottrina cristologica relativa alle due nature (umana e divina) in una persona. La maggioranza della Chiesa egiziana riconobbe un'unica persona-natura del Verbo incarnato, dotata di umanità e divinità perfette (dottrina impropriamente chiamata “monofisita”, “una natura”). Tra i cristiani copti, da allora, vi sono i Copti “monofisiti”, detti anche Copti Ortodossi o semplicemente Copti e dall’altra i Copti melchiti (o, più sovente, Greco-Ortodossi).

Per decenni le due Chiese si alternarono in fasi di successo e legittimità; con l’arrivo dell’islam sorsero altri problemi e altri conflitti: per secoli i rapporti islamo-cristiani videro momenti di pacifica convivenza, tensioni dovute alle tassazioni e alle umiliazioni inflitte dalle dinastie dominatrici dell’Egitto, dagli Omayyadi agli Ottomani.

Fu senza dubbio il padre dell’Egitto moderno, Muhammad Ali (1769-1849), a restituire una parte dei diritti civili ai Copti, la cui crescita sociale fu aiutata anche grazie ai contatti con le missioni della cristianità occidentale e agli sforzi del patriarca riformatore Cirillo IV. Negli anni del protettorato britannico dal 1882 e il regime di Nasser vi furono momenti di recrudescenza degli atteggiamenti discriminatori nei confronti dei cristiani d’Egitto. La prima metà del Novecento fu caratterizzata da tentativi infruttuosi dei copti di partecipare alla vita politica egiziana. Nel 1959, con la nomina di un nuovo patriarca, Cirillo VI, sempre più isolati, i copti cercarono di saldare la coscienza della propria identità religiosa; ma come mostra la vita del successivo patriarca Shenuda, le questioni politiche si riaffacciarono di continuo.

La storia dei copti conduce a rintracciare almeno due filiere di relazioni particolarmente interessanti quanto complesse: i rapporti con l’altro o gli altri cristianesimi, dalla Chiesa bizantina alla Chiesa Romana, nel corso dei secoli. Seppur riconosciuta dal Papa e in alcuni momenti anche oggetto di attenzione e difesa – del 1973 il primo documento ufficiale di accordo fra le due Chiese - la Chiesa copta ha vissuto frequentemente momenti di distinzione e prese di distanza dal culto cattolico, a partire dalle ritualità, dal vestiario e dalle modalità di comportamento: l’abito, si sa, fa il monaco.

Tuttavia, è la rete di relazione con l’islam che ha suscitato i maggiori problemi: gruppi fondamentalisti islamici sono stati responsabili di numerosi attacchi armati e violenze ai danni della minoranza copta. Che i copti siano stati e siano discriminati è un dato che emerge anche dalla difficoltà della valutazione del loro numero: le cifre oscillano fra i quattro e gli otto milioni, ovvero fra il sei e il dieci per cento della popolazione egiziana, vicina agli ottanta milioni di abitanti.