Marino danza. Ha l’oro nei capelli ricci e il sorriso bello dei vent’anni. Impugna il violino come per giocare, lancia sguardi verdi ai suoi compagni con cui suona sul serio, tutti in piedi, le Quattro Stagioni di Vivaldi. Così sono più liberi di esprimere, anche con il corpo, la gioia e la grinta della musica; così ha insegnato loro Judith Hamza, la violinista di origini rumene che in un giorno di giugno del 2007 ha creato gli Archi del Cherubino. È la prima sera del 2012 nella Collegiata di San Leonardo, a San Casciano dei Bagni. La chiesa è illuminata da centinaia di candele, una penombra occupata da un pubblico silenzioso e dai suoi pensieri, lasciati galleggiare nella festa della musica di questi ragazzi. Sul soffitto scorrono segnali di luce dell’artista Raja ElFani, mentre dal fondo un clarinetto irrompe in un assolo jazz, pronto a scambiarsi suoni con il violino barocco. In scena appare Paolo Marchettini, clarinettista e compositore eclettico e sensibile, flette la voce del suo strumento tra le pieghe della storia antica e moderna della musica.

Quanto vi sto raccontando in un concerto vivaldiano normalmente non accade, ma questo non è un posto qualsiasi. Almeno sin da quando, quindici anni fa, è stato creato il Concerto di Capodanno e tra la val di Chiana e la val d’Orcia si sono affacciate le silhouette puntute, quasi cipressi di breccia lavica, basalto e bronzo, delle oblunghe sculture di Bizhan Bassiri, l’artista iraniano che ha reinterpretato il paesaggio rinascimentale con lo sguardo contemporaneo. Grazie all’incontro con don Priamo, parroco illuminato d’illimitata età, il pensiero magmatico e i traslucenti metalli delle opere di Bassiri sono germogliati anche nel luogo che ora è fatto musica dagli Archi del Cherubino, rendendo una chiesa di paese capace di spalancarsi a un nuovo sentire di preghiera, le nicchie accese di un blu mistico, la luce catturata da specchi solari con lastre d’acciaio zigrinate, la conca absidale conquistata da un disco astrale. È un sole incorniciato da un cerchio nero, un’eclissi tra Oriente e Occidente, un occhio sole-luna che stasera protegge Marino e gli Archi del Cherubino. Alla sua sinistra, Judith guida le fila dai primi violini con sguardo amorevole e severo. Dietro di lei c’è Gabriele, un altro angelo ricciuto di 14 anni, accanto Carlo Ferdinando, che ne ha 18. Questi ragazzi stanno con Judith sempre, tutti i giorni. A casa sua, in via delle Nocelle 20/B all’Aquila, studiano, mangiano, persino dormono insieme. «Il frigo dev’essere sempre pieno!», ride la violinista giunta nel capoluogo abruzzese nel 1982, lavorando come spalla dei Solisti Aquilani fino al 2007, e che ormai si sente come fosse nata lì. Ora a casa di «Jutka» vengono anche i pulcini con l'archetto, bambini sin dai cinque anni di età: «Sofia ha 10 anni e nel 2009 commosse i pompieri chiedendo che recuperassero solo orsacchiotto e violino».

Per accoglierli tutti, Jutka ha svuotato casa: «Quando proviamo devo smontare pure le porte… e il contrabbassista sa che per lui c’è posto solo in corridoio!». Cucina preparandosi la sera prima, o svegliandosi la mattina presto: amatriciana, frittata, polpette.

Sette chilometri più in là, Giorgio e Paola compiono lo stesso rito: come ogni sera preparano la cena per tutti. Ed è lì che porterò Jutka e Paolo. L’applauso del pubblico è un misto di stupore e commozione, mi desta dall’incanto della musica con la consolazione che a Casa Fabbrini Jutka finalmente siederà per mangiare. Saltiamo su in auto, seguiamo un sentiero sterrato che si addentra nel bosco, sino a una radura da cui domina una vista a picco sulla campagna toscana, con uliveto, un orto segreto, un ricco frutteto. Siamo arrivati all’agriturismo di Giorgio e Paola, due medici romani che hanno deciso di fare della loro passione per la cucina e l’ospitalità una seconda vita. Valicando la soglia di questo casale seicentesco, appare un letto a baldacchino come pennicatoio, al centro un camino enorme, ovunque scaffali traboccanti libri. Su più livelli si snodano camere colorate legate insieme da un parquet di quercia, quasi un prolungamento del paesaggio esterno, mentre nel soggiorno serpeggiano i profumi della cucina. Una ventina di persone sono sedute intorno a un quadrato di tavoli, davanti ai piatti della tradizione contadina. «Qui il convivio è legge», mi dice Paola venendoci incontro. E in ogni piatto c’è una storia da raccontare, Giorgio è arrivato terzo su ventimila in gara al campionato di cucina contadina.

Zuppa di castagne del Monte Amiata, con filetti d’arance e nocciole: per una volta Jutka si lascia servire. Sotto il palato gaudente si scioglie il racconto di una storia cambiata per sempre dal terremoto del 2009. In meglio. Perché la musica è diventata vita per i suoi ragazzi. «Dopo soli tre giorni sono stati loro a chiedermi di ricominciare. Malgrado le continue scosse, da me ci dormivano in venti». Le verdure dell’orto si fanno largo tra l’anitra alle pere e il petto di vitello alla fornara.  Penso alle cene che Jutka prepara ogni giorno, le chiedo dove trovi i soldi, gli occhi neri della violinista si accendono in un lampo di genio e follia: «Non lo so! Ma ciò di cui avremmo bisogno sarebbe giusto la dignità per il nostro lavoro. Nessuno di noi ci vive, non lo facciamo per guadagnare. Tutti si rifiutano di suonare altrove, non vogliono sporcare l’integrità del nostro suono, il lavoro fatto prova su prova». E la differenza si sente, se i Cherubini suonano così, ecco spiegata la ragione. Giorgio porta i liquori fatti in casa, liquirizia, prugnolo, nocino. Il dolce è di Paolo: tira fuori il clarinetto, regala la sua musica ai commensali, che ascoltano sorseggiando a occhi chiusi. Magie di San Casciano. Casa Fabbrini non è nata per lavoro, «e forse non sarà mai nemmeno redditizia», mi sussurra Paola. Proprio come gli Archi di Jutka. Ma la ricetta della felicità è loro.